mercoledì 27 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - Introduzione "ex post"


Due sono le domande. Te le fai tu, nel segreto dei tuoi pensieri, e te le fanno gli altri quando li metti a parte del tuo progetto: attraversare la Basilicata dalla costa tirrenica a quella ionica. A piedi e mica per il percorso più breve, no, per quello "panoramico" (che anche quando lo si sceglie come opzione nel navigatore finisce che con l'auto ci si va ad infilare in stradine assurde).
Due domande, dicevamo. La prima è "perché la Basilicata?". La seconda "perché a piedi?". A dire il vero le due domande si potrebbero sintetizzare in una soltanto: "chi ve lo fa fare?".
Questa introduzione è stata scritta al termine dell'avventura e non poteva essere diversamente: solo così si può tentare di rispondere alle domande appena formulate, sgombrando il campo da dubbi che -non rimossi- rischierebbero di relegare questa extra-ordinaria esperienza nel novero delle iniziative eccentriche e prive di un vero significato.

Alla prima domanda, che si interroga sulla scelta di attraversare una regione di cui si tende ad ignorare anche l'esistenza (peggio della Basilicata, in questo senso, è solo il Molise), si potrebbe rispondere semplicemente "perché no?". Ma cercherò di essere meno evasivo. Proprio perché è un luogo dimenticato dai più e poco considerato dal turismo di massa, se si escludono le quattro "M" (Maratea, Metaponto, Melfi e Matera), la Lucania è uno dei rari siti in Italia che ancora si possa dire "selvatico".

Soprattuto nella parte più montuosa, i piccoli centri abitati distano in media 15-20 km l'uno dall'altro e in mezzo c'è poco o niente. Si riescono a percorrere distanze notevoli immersi nella natura senza incontrare anima viva. Anche l'ambiente naturale è assai poco antropizzato, se si fa eccezione delle recinzioni di filo spinato che i pastori stendono in ogni dove, tagliando di frequente anche sentieri e mulattiere che in questo modo cadono in disuso e diventano impraticabili. Ma di questo parleremo più avanti.

Selvatico vuol dire crudo e non protetto. Significa che all'acqua ci devi pensare tu e non dare per scontato che la trovi per strada. Selvatico significa che puoi veder volare un rapace sopra la tua testa o incrociare un serpente tra le rocce o infine veder affiorare a 10 metri dalla spiaggia una tartaruga marina gigante.

Poi ci hanno fatto un film. Inutile dire che l'ispirazione di questo viaggio è nata dalla pellicola di Rocco Papaleo "Basilicata Coast to Coast", con le sue atmosfere di luce accecante, le feste in piazza e la vita zingara.

Passiamo alla seconda domanda: perché a piedi. Di nuovo potrei rispondere "perché no?". Innanzitutto a farla in macchina diventerebbe cosa da andata e ritorno in giornata. Che gusto c'è? Ma la questione è un'altra e ha a che fare con il camminare in sé.

Un viaggio a piedi ti fa entrare in un'altra dimensione, in un rapporto nuovo e diverso con il tempo, lo spazio, i sensi, le possibilità, le risorse, i limiti. Lo diciamo in poche parole? Camminare ti cambia la vita. Ricordiamolo: non stiamo parlando della passeggiata quotidiana e neanche di una escursione in montagna, con la macchina che ci attende a fine gita. Si tratta di intraprendere un percorso, cammino o pellegrinaggio che sia, che si snoda su più giornate e dove si possa contare solo sui propri piedi e sul bagaglio che si riesce a portare in spalla camminando 20 o 30 chilometri al giorno.
Perché a piedi? Perché è come tornare padroni del tempo e dello spazio. Paradossalmente, pur limitati nelle distanze percorribili, si assapora intensamente l'attimo e ad ogni passo si può decidere ritmo e direzione dell'incedere. Si può andare per la via più breve o allungare il percorso per vedere cosa si vede da là.

Poi i sensi, tutti e cinque e magari il sesto, si risvegliano in modo potente. Finché si cammina in terra sconosciuta, immersi nella natura, è come se la nostra capacità percettiva si amplificasse. Vedi tracce della presenza di animali, senti lontanissimo il gorgogliare dell'acqua, annusi costantemente l'aria a cogliere i minimi cambiamenti dell'ambiente. Tocchi la terra, le piante e l'aria. Ti esalti nel gustare due more mature di rovo, in mezzo alle stesse spine che prima ti hanno graffiato i polpacci.
Il sole scalda, l'ombra ristora, il vento rinfresca e asciuga, la pioggia... Non lo so, non è mai arrivata, ma sarebbe stata la benvenuta in certi momenti.
Un goccio d'acqua calda della borraccia può diventare la gratifica che ti concedi dopo aver superato un passaggio che ti ha fatto tribolare. L'acqua fresca di una fonte in mezzo al nulla? Meglio dello champagne.

In un cammino lungo c'è sicuramente una buona dose di improvvisazione, una quota implicita di incertezza che si deve accettare e si traduce banalmente nel poter decidere solo all'ultimo dove potrai dormire alla sera. Noi si è scelto di dormire in piccoli B&B o in agriturismo: chi si porta dietro la tenda questo problema non c'è l'ha (ma fa a meno della doccia!).

C'è il momento della partenza, dopo qualche giorno di cammino, quando i piedi protestano per un po' di chilometri prima di capire chi comanda e rassegnarsi a compiere il loro dovere. C'è l'attimo di scoramento, la preoccupazione di aver smarrito la via e la gioia infinita dell'arrivo, con le spalle che ringraziano per il sollievo dello zaino deposto.

Infine, ma quella è una scelta non una necessità, c'è la condivisione. Una esperienza di questo tipo, vissuta a fianco di una o più (meglio poche) persone, cambia molte cose. Dentro di sé e nelle relazioni. Un rischio che vale la pena di correre.

"Chi ve lo fa fare?" ci hanno chiesto.
"Mai saprete quello che vi perdete, se non provate". Rispondiamo noi.

Buona strada a tutti.

PS: in alcune riflessioni sul camminare sono debitore di David Le Breton e del suo "Il mondo a piedi" (Feltrinelli), recente lettura che dopo questo viaggio riprenderò con occhi diversi.

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