Se non c'è roba fresca da mettere in forno, si può sempre ricorrere al freezer.
Per quelle strane coincidenze, che forse tali non sono, stasera mi sono imbattuto in una serie di testi che avevo scritto prima di aprire il blog. E uno di questi risale esattamente a due anni fa.
Il momento non era dei migliori, ma non è un post triste anche se parla di finte morti ed ischemie.
Io sono ancora vivo e pure di buon umore. Anche mia mamma è viva, anche se non proprio allegra.
Però ogni tanto fa bene pensare al fatto che oggi potrebbe essere il nostro ultimo giorno e guardare da fuori quel che resta di noi, senza noi.
Novembre 2012
Capita ogni tanto di pensare che si potrebbe morire all’improvviso.
Non tutti i giorni, certo, ma quando accade non è detto che sia indice di chissà quale attacco depressivo. In questi casi, confessiamolo, dopo una vita passata tenendo conto dell’altrui opinione- non il primissimo ma il secondo pensiero va a quello che di noi resterebbe sospeso, da sistemare e… visibile. Insomma, quando muori ti entrano in casa, nei conti correnti, prendono in mano il lavoro che stai facendo, cercano nel computer se ci sono cose che servono a risolvere le rogne lasciate a metà. Guardano da fuori la tua vita nuda. Un fermo immagine improvviso: un, due tre stella! E tutto quello che era intimo diventa pubblico.
Ovvio, ci ho pensato stamattina, sennò non ne scriverei. Ma era un pensiero sereno. Ho cercato di farmi un’idea della mia vita guardando la casa dove abito con gli occhi di un estraneo. E ho trovato. Ho trovato poco e tanto: se fossi un giornalista potrei forse scrivere un pezzo senza neppure conoscerlo, sto’ Pozzan che non è più tra noi.
Cominciamo dalla cucina. Le stoviglie sporche sono nella lavastoviglie e c’è un discreto ordine “di manutenzione”. Il fornello ha la piastra per scaldare il pane ancora piena di briciole e sopra il ripiano c’è una pila di stoviglie pulite ma ammucchiate. L’estraneo cronista non lo sa, ma sono le cose di mia mamma che erano rimaste da lavare quando –una settimana fa- è stata ricoverata d’urgenza in neurochirurgia: io ho la lavastoviglie, lei no. Due moke che hanno fatto il loro dovere sopra il lavello e una delle due vasche intasata non scarica bene l’acqua: non è uomo da “fai da te” questo Pozzan.
Sul tavolo c’è un computer aperto. Si lavora anche nel week-end quindi. Un iPad in carica: dentro poche App, la posta aperta e molti appunti. Tre libri sopra il tavolo, due iniziati. Il discorso della vittoria di Obama fa compagnia ad una coppa con dentro un kiwi e una banana troppo matura. Aprendo il frigo si capisce che si è arrivati a fine settimana senza fare una vera spesa. Vino però ce n’è, dentro e fuori al frigo.
Un piccolo mobile stile dattilo con sopra una lavagna piena zeppa di disegni e scritte coi gessi colorati, con due nomi: Sara e Anna. La libreria, il divano con un altro libro iniziato appoggiato sopra al plaid, un grande mobile pieno di cose che si usano poco, TV compresa che se l’accendi è fissa sui canali per ragazzi. In camera il letto sfatto e i vestiti un po’ ammucchiati nella sedia. Quadri di donne: tutti quadri di donne a parte uno. La camera delle figlie, piena piena di colori, matite, disegni e cavalli.
Pozzan non ha ancora detto tutto quello che deve dire. Meglio che resti qui un altro po’.
Può iniziare il Secondo tempo!

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