Filosofo non praticante



Come si può chiamare un laureato in filosofia che poi nella vita ha fatto tutt'altro, senza però mai rinnegare la sua anima curiosa di conoscenza? "Filosofo non praticante", ho risposto a me stesso.

Un po' come chi crede in Dio ma non va a messa tutte le domeniche, io amo il fare del pensiero ma non so citare a memoria questo o quell'autore né ho mai insegnato filosofia in un'aula scolastica.
A dire il vero una volta l'ho fatto, all'epoca matricola con in attivo un solo esame sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, ma la location non era delle più canoniche: la taverna di una studentessa del liceo, che aveva radunato tutti i suoi compagni di classe per ricevere lumi sull'ostico pensatore tedesco. In quel pomeriggio, dove sinceramente non so se ho davvero contribuito alla chiarezza di quelle giovani menti, si è esaurita tutta la mia carriera accademica.

Poi ho iniziato a lavorare, improvvisandomi nel mestiere di selezionatore del personale, e la filosofia è andata apparentemente a finire nel baule delle cose passate. Apparentemente, perché a distanza di quasi vent'anni mi rendo conto di quanto invece quegli anni passati a decifrare teorie geniali ma spesso anche astruse mi abbiano marchiato in profondità, condizionando il mio modo di approcciare ogni situazione e ogni realtà, incluse le organizzazioni aziendali e il famigerato "mondo degli affari". Capire, trovare un filo di logica, fondare ogni mia opinione in modo da riuscire a renderne ragione a chiunque me la chiedesse: questo è diventato il mio stile nel fare consulenza, dalla comprensione delle singole realtà aziendali fino alla "lettura" di professionalità e carattere delle migliaia di persone che in questi anni ho incontrato a colloquio.

Una specie di master sulla Gestione delle Risorse Umane (perché negli anni 90 bisognava andare a Milano per sentire parlare qualcuno di questo argomento) mi aveva certamente dato un minimo di quadro di riferimento, ma la realtà concreta e quotidiana delle aziende suscitava in me una enorme curiosità. Forse è per questo che ho cercato di approfittare di ogni pretesto per visitare i miei clienti, farmi spiegare come funziona questo o quell'ufficio, gironzolare per i reparti produttivi pur nei limiti delle linee gialle segnate sul pavimento per delimitare lo spazio di chi lavora da quello di chi -appunto- è lì per curiosare.

Sono passati esattamente 19 anni da quando, con altri soci, ho fondato una Società che si occupa di ricerca, selezione e valutazione del personale a Vicenza (www.deca-associati.it.). Eravamo gli ultimi arrivati, con i concorrenti che già si pavoneggiavano con i loro 20 anni di storia, preceduti magari da solide esperienze come capi del personale di grandi aziende. Beh, ora quei concorrenti stanno facendo i calcoli per la pensione, stramaledendo il governo Monti per lo slittamento dei termini dell'agognata quiescenza lavorativa, mentre io sto progettando i miei prossimi 25 anni di vita lavorativa e -cazzo- devo trovare delle belle idee per non estinguermi come un Dodo della consulenza.

Ma 8 anni fa è successo qualcosa. Ho cominciato a frequentare un network culturale che si proponeva di contribuire alla crescita culturale delle aziende e delle persone del territorio, principalmente attraverso un'intensa attività di presentazione di libri con annesse tavole rotonde tematiche (www.guanxinet.it). Ho conosciuto professori di economia, sociologi, antropologi e pure filosofi. Ho letto libri di argomenti così vari che di mia spontanea volontà non avrei neppure aperto. Ho imparato a parlare in pubblico, divertendomi a scovare il fil rouge di ogni testo che gli organizzatori mi chiamavano a presentare e aprendo- senza tanto farci caso- la mia mente all'epoca un po' conformista.

Il risultato è che da tre anni a questa parte non sono più lo stesso: il networking è diventata la mia religione, la lettura il mio investimento quotidiano, la relazione e l'ascolto la chiave di ogni mia attività professionale. E ho iniziato a scrivere.
Beh, non sono esattamente quello che si direbbe "uno scrittore prolifico". Ho appena concluso un racconto, che a furor di popolo mi sono convinto a chiamare "libro" ma che ho impiegato quattro anni a partorire, e ora  -tardivo tra i tardivi- mi sono deciso ad aprire un blog.

Non sono certamente immune dalla forma di narcisismo maschile che fa ritenere gli altri potenzialmente interessati al proprio pensiero, ma il desiderio sincero è anche quello di condividere il miscuglio di pensieri, emozioni e sentimenti che quotidianamente spurga dal mio corpicino.

Cui prodest? A me sicuramente. Agli altri, bontà loro se avranno la pazienza di leggere, non lo so.

1 commento:

  1. anche a me, di sicuro
    patrizia
    p.s. mò devo pure scegliere un profilo... che sarà a caso, come mio solito, visto che non ci capisco un beato tubo

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