sabato 23 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 5

Venerdì 22 agosto 2014

E fu sera e fu mattina. Quinto giorno.
Il borgo antico di Viggiano è abitato da due vecchiette e dagli ospiti dei B&B.
Scendo subito in piazza in cerca della farmacia. Dovrebbe aprire alle 8.30. Dovrebbe. Passa il tempo e solo dopo un quarto d'ora realizzo che è chiusa per turno (di venerdì?!). Niente magici compeed (quelli nello zaino non bastano neanche per metà delle vesciche), si fa in altro modo. Cerotti li vendono anche al negozietto della signora Maria.  Ago e filo? "Provi alla merceria ma non so se apre".  Tardi ma apre. "Di aghi ho solo questa confezione da 50 di tutte le misure" - "va bene" - "e il filo di che colore lo vuole?" - serve a bucare le vesciche... "color carne" dico io sicuro.

Per mezzora la camera si trasforma in un misto di infermeria e sala torture. Alla fine si riparte, io col tendine che finché non si scalda urla, lei camminando sulle uova. E ci aspettano altri 25 chilometri!

Giù dalla Rocca, in centro stanno montando le luminarie per la gran festa della sera (che noi ci perderemo).
I soliti 500 metri di strada umana e poi la traccia blu del GPS vira decisa per la trazzera tutta arbusti e spine. Cominciamo ad odiare il nostro sconosciuto Virgilio digitale. Celebriamo con tre secondi di silenzio compiaciuto il superamento dei 100 chilometri dalla partenza. Giusto il tempo di accorgerci che davanti a noi si para l'ennesimo cancello sbarra strada (e nella nostra testa, in sequenza, "cani", "rovi", "tornare indietro"). Salta anche questo e prendi in mano un grosso bastone: si imparano subito le buone maniere in questa terra cruda e bellissima. 

Le successive tre ore sono davvero impegnative. Il percorso ci fa attraversare due vallate tra boscaglie e calanchi esposti. La traccia va e viene come il segnale del cellulare. Ora si perde tra la vegetazione, ora riappare per poi scomparire di nuovo. Il bastone non serve per i cani ma coi rovi nessuna pietà. Si mena a destra e a manca finché si arriva ad un torrente a fondovalle. Sosta. Ombra. Ripartenza. Saltelli di Fortunata.  Io che meno il bastone sui rovi e poi di nuovo la traccia che fa i capricci ed entrerebbe in una proprietà privata tutta recintata da sembrare un lager. Andiamo di buon senso su per un pendio: poco sopra il gps indica una strada. Altro punto morto. Un varco creato dai cavalli. Ci infiliamo e arriviamo nel pantano di una falda acquifera. Dietrofront,  sali di lì,  mena di là, altro filo spinato e strada conquistata.

Bisogna domarla a bastonate la Basilicata, è cruda e non si concede facilmente. Un goccio d'acqua come gratifica. Si lotta ma ormai è amore giurato per questa terra. Però son passate tre ore e troppo pochi sono i chilometri. Non va bene.

Saliamo sotto il sole. Ombre rare ma nobili quelle delle grandi quercie. Una casa rurale in lontananza. Belato di capre e abbaiare di cani. Aridaje! Mentre ci avviciniamo piano, coi cani impegnati a tener calme le bestie, arriva dall'altro capo della strada l'auto del pastore che -capita la situazione- ci fa passare mandando altrove l'armento. Scambiamo due parole con quest'uomo sulla sessantina, occhi color del cielo. È uno dei pochi che resiste a tener viva campagna e pastorizia. In Basilicata, da quando c'è il petrolio, sono arrivati i denari e si fatica meno a lavorare per le grandi compagnie piuttosto che tirare a campare coi mestieri di sempre. Ci chiede da dove veniamo, dove stiamo andando e perché a piedi. "Ma voi che lavoro fate?" (tipo: per aver voglia di riposarsi facendo una cosa del genere...). "Lavoriamo tutti e due con le persone e in vacanza meno ne vediamo e meglio è" vorremmo rispondere. Non importa. È un uomo buono. Ci offre l'acqua della sua sorgente e ci indica di salire per i campi, che sopra c'è la provinciale. L'acqua è salvezza pura e lui è il primo angelo della giornata.

Arranchiamo per i prati arsi ma raggiungere la strada non è mai cosa scontata. Ci sono i rovi e c'è il filo spinato,  amici inseparabili dei nostri polpacci.
Ora la strada compirebbe una lunga ansa. Si può tagliare, dice il nostro perverso amico digitale, superando un colle di prati, pietre e arbusti. In cima troveremo un'altra stradina. E in cima invece c'è un prato con la vegetazione alta 50 centimetri e un altro bel reticolato. Scoramento.

Segui quella fila di alberi. Passa in mezzo qua. Forse si sbuca forse no. Poi sí.  È inutile: questa incertezza è parte dell'avventura. Prima o poi non potremo più farne a meno.

Quindi ti trovi in un altipiano a 1200 metri (per fortuna, col caldo che fa). Strada bianca circondata da vegetazione tutta uguale. Deserto. Chi vuoi trovare? Il secondo angelo, ovviamente.

Il campo di educazione ambientale della sezione potentina dell'OMPA sorge nel nulla. Ma c'è un auto parcheggiata e la musica va a palla. Acqua! No. Molto di più. Molto meglio.
Roberto è una guida naturalistica. Ci ascolta compassionevole mentre raccontiamo le nostre  peripezie e ci dice chiaro e tondo che i sentieri che stiamo seguendo sono i vecchi percorsi della transumanza, che non servono più e nessuno ci mette più piede. Già. C'è il petrolio adesso.
Alla fine gli facciamo pena, o simpatia. Offre a me una birra ghiacciata e a Fortunata un gelato. Rispettivamente la più buona e il più gustoso della nostra vita. Ci dà anche una dritta per accorciare il percorso verso Corleto Perticara, dove siamo riusciti a prenotare una camera in un agriturismo fuori dal centro. Ancora non sappiamo che lì troveremo il terzo angelo (questa volta in forma di coppia!).

Ristorati e incoraggiati (io, per l'entusiasmo, abbraccio una quercia secolare per mezzo minuto buono) iniziamo la discesa verso Corleto. Che sta in alto. Funziona così: lo vediamo davanti a noi a poco più di tre chilometri in linea d'aria ma in mezzo c'è una valle e la strada si allunga e i chilometri che mancano diventano sei.

Sei chilometri con i piedi gonfi di vesciche. Fortunata non sa più che fare col dolore ai piedi. Inizia a correre per appoggiare meno possibile le piante a terra. Io sto zitto ma cominciano in tutti e due a nascere i dubbi sulla possibilità di completare il nostro viaggio. È una vacanza, mica una penitenza!

Dio sa come, arriviamo a valle. Siamo a 150 metri dal paese, ma in verticale. Qui interviene il terzo angelo, fatto di due persone, Amedeo e Teresa, i proprietari dell'agriturismo La Braida di Corleto Perticara. Amedeo ci viene prendere e ci porta in farmacia, a far scorta di medicamenti. Quando arriviamo alla tenuta, immersa tra gli ulivi, l'idea scatta sincronica: "da qua domani non ci muoviamo". La camera in realtà è un appartamento.  Fuori giardino, porticati, fiori e tavolini sotto il patio. La cena ci ripaga di ogni fatica. I nostri ospiti sono squisiti padroni di casa: l'accordo per un'altra notte è preso all'istante.

Domani il cammino si ferma.  Si curano le ferite e si assapora l'ospitalità lucana. Che non è vero che son solo rovi e filo spinato. L'amore per la Basilicata è questione di emozioni forti e di graffi. Non è roba da romanzetti Harmony.

Buona notte stelle.

1 commento: