mercoledì 27 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - Introduzione "ex post"


Due sono le domande. Te le fai tu, nel segreto dei tuoi pensieri, e te le fanno gli altri quando li metti a parte del tuo progetto: attraversare la Basilicata dalla costa tirrenica a quella ionica. A piedi e mica per il percorso più breve, no, per quello "panoramico" (che anche quando lo si sceglie come opzione nel navigatore finisce che con l'auto ci si va ad infilare in stradine assurde).
Due domande, dicevamo. La prima è "perché la Basilicata?". La seconda "perché a piedi?". A dire il vero le due domande si potrebbero sintetizzare in una soltanto: "chi ve lo fa fare?".
Questa introduzione è stata scritta al termine dell'avventura e non poteva essere diversamente: solo così si può tentare di rispondere alle domande appena formulate, sgombrando il campo da dubbi che -non rimossi- rischierebbero di relegare questa extra-ordinaria esperienza nel novero delle iniziative eccentriche e prive di un vero significato.

Alla prima domanda, che si interroga sulla scelta di attraversare una regione di cui si tende ad ignorare anche l'esistenza (peggio della Basilicata, in questo senso, è solo il Molise), si potrebbe rispondere semplicemente "perché no?". Ma cercherò di essere meno evasivo. Proprio perché è un luogo dimenticato dai più e poco considerato dal turismo di massa, se si escludono le quattro "M" (Maratea, Metaponto, Melfi e Matera), la Lucania è uno dei rari siti in Italia che ancora si possa dire "selvatico".

Soprattuto nella parte più montuosa, i piccoli centri abitati distano in media 15-20 km l'uno dall'altro e in mezzo c'è poco o niente. Si riescono a percorrere distanze notevoli immersi nella natura senza incontrare anima viva. Anche l'ambiente naturale è assai poco antropizzato, se si fa eccezione delle recinzioni di filo spinato che i pastori stendono in ogni dove, tagliando di frequente anche sentieri e mulattiere che in questo modo cadono in disuso e diventano impraticabili. Ma di questo parleremo più avanti.

Selvatico vuol dire crudo e non protetto. Significa che all'acqua ci devi pensare tu e non dare per scontato che la trovi per strada. Selvatico significa che puoi veder volare un rapace sopra la tua testa o incrociare un serpente tra le rocce o infine veder affiorare a 10 metri dalla spiaggia una tartaruga marina gigante.

Poi ci hanno fatto un film. Inutile dire che l'ispirazione di questo viaggio è nata dalla pellicola di Rocco Papaleo "Basilicata Coast to Coast", con le sue atmosfere di luce accecante, le feste in piazza e la vita zingara.

Passiamo alla seconda domanda: perché a piedi. Di nuovo potrei rispondere "perché no?". Innanzitutto a farla in macchina diventerebbe cosa da andata e ritorno in giornata. Che gusto c'è? Ma la questione è un'altra e ha a che fare con il camminare in sé.

Un viaggio a piedi ti fa entrare in un'altra dimensione, in un rapporto nuovo e diverso con il tempo, lo spazio, i sensi, le possibilità, le risorse, i limiti. Lo diciamo in poche parole? Camminare ti cambia la vita. Ricordiamolo: non stiamo parlando della passeggiata quotidiana e neanche di una escursione in montagna, con la macchina che ci attende a fine gita. Si tratta di intraprendere un percorso, cammino o pellegrinaggio che sia, che si snoda su più giornate e dove si possa contare solo sui propri piedi e sul bagaglio che si riesce a portare in spalla camminando 20 o 30 chilometri al giorno.
Perché a piedi? Perché è come tornare padroni del tempo e dello spazio. Paradossalmente, pur limitati nelle distanze percorribili, si assapora intensamente l'attimo e ad ogni passo si può decidere ritmo e direzione dell'incedere. Si può andare per la via più breve o allungare il percorso per vedere cosa si vede da là.

Poi i sensi, tutti e cinque e magari il sesto, si risvegliano in modo potente. Finché si cammina in terra sconosciuta, immersi nella natura, è come se la nostra capacità percettiva si amplificasse. Vedi tracce della presenza di animali, senti lontanissimo il gorgogliare dell'acqua, annusi costantemente l'aria a cogliere i minimi cambiamenti dell'ambiente. Tocchi la terra, le piante e l'aria. Ti esalti nel gustare due more mature di rovo, in mezzo alle stesse spine che prima ti hanno graffiato i polpacci.
Il sole scalda, l'ombra ristora, il vento rinfresca e asciuga, la pioggia... Non lo so, non è mai arrivata, ma sarebbe stata la benvenuta in certi momenti.
Un goccio d'acqua calda della borraccia può diventare la gratifica che ti concedi dopo aver superato un passaggio che ti ha fatto tribolare. L'acqua fresca di una fonte in mezzo al nulla? Meglio dello champagne.

In un cammino lungo c'è sicuramente una buona dose di improvvisazione, una quota implicita di incertezza che si deve accettare e si traduce banalmente nel poter decidere solo all'ultimo dove potrai dormire alla sera. Noi si è scelto di dormire in piccoli B&B o in agriturismo: chi si porta dietro la tenda questo problema non c'è l'ha (ma fa a meno della doccia!).

C'è il momento della partenza, dopo qualche giorno di cammino, quando i piedi protestano per un po' di chilometri prima di capire chi comanda e rassegnarsi a compiere il loro dovere. C'è l'attimo di scoramento, la preoccupazione di aver smarrito la via e la gioia infinita dell'arrivo, con le spalle che ringraziano per il sollievo dello zaino deposto.

Infine, ma quella è una scelta non una necessità, c'è la condivisione. Una esperienza di questo tipo, vissuta a fianco di una o più (meglio poche) persone, cambia molte cose. Dentro di sé e nelle relazioni. Un rischio che vale la pena di correre.

"Chi ve lo fa fare?" ci hanno chiesto.
"Mai saprete quello che vi perdete, se non provate". Rispondiamo noi.

Buona strada a tutti.

PS: in alcune riflessioni sul camminare sono debitore di David Le Breton e del suo "Il mondo a piedi" (Feltrinelli), recente lettura che dopo questo viaggio riprenderò con occhi diversi.

lunedì 25 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 7

Domenica 24 Agosto 2014

Orizzontale. Oggi sarà una giornata orizzontale.
Il percorso che seguiremo e ci porterà ad Aliano correrà lungo gli argini del fiume Agri verso valle. Quindi, per la prima volta, niente dislivelli e saliscendi, solo piatta e lieve discesa. Ovviamente negli ultimi due chilometri saliremo nel cocuzzolo circondato da calanchi ove sorge il paese di confino di Carlo Levi, che ispirò allo scrittore piemontese il romanzo "Cristo si è fermato a Eboli". Dico ovviamente perché,  pur senza andar per vette, i nostri 4600 metri di dislivello positivo (leggi salita) e altrettanti di negativo (leggi discesa e scegli tu quel che è peggio) ce li siamo sciroppati tutti.

Ma oggi, dicevo, è tutto orizzontale, anche il paesaggio. Il consiglio di Amedeo è di fare i bravi e di seguire la provinciale, che tanto di auto ne passa una ogni mezzora.
Secondo voi Pozzan lo ascolta? No. Su Oruxmaps la traccia dell'amico dei rovi sembra ricamare un contrappunto da un lato all'altro dell'arteria stradale: "stavolta non perdiamo il sentiero e riusciamo ad evitare l'asfalto".
All'inizio tutto bene. Incontriamo addirittura tre runners che procedono in senso contrario (quindi in un colpo solo vediamo il numero di persone medio che normalmente incontravamo in un intera giornata). Intercettata anche la galleria dove è stata girata una delle scene più famose del film di Papaleo: io tutto tronfio.  Fortunata saltella aspettandomi al varco.

E infatti. La strada diventa trazzera. La trazzera diventa sentiero. Il sentiero degrada in traccia. La traccia diventa campo di arbusti. La provinciale è sei metri sopra di noi. Sei soli fottuti metri pieni di rovi.
E qui esce 'a bbestia. Prendo un palo. No un bastone, una specie di enorme ramo, e comincio a prendere a legnate il ginepraio di spine finché si apre un varco che ci fa guadagnare il guardrail. Fortunata mi guarda dietro gli occhiali da sole e mi dice "tu vai a sentieri finché vuoi, io non lascio più la provinciale: non reggo più i rovi." E non regge più le scarpe. Quindi strada asfaltata e ciabatte. Chilometri dritti e infiniti sotto il sole verticale. Ormai i piedi sono spine e in questo scenario da deserto dell'Arizona cominciano ad attecchire i dubbi sulla prosecuzione della nostra avventura.
Cost quel che Cost,  ma non a tutti i Cost.

Però al bivio per Aliano ci arriviamo, dopo 20 chilometri. C'è ombra sotto la pensilina lignea della fermata dell'autobus e c'è pure una fontana: il posto ideale per mangiare un frutto prima di affrontare la salita. Ormai siamo arrivati, non ci può succedere nulla.
Le strade che salgono verso il centro storico sono due. Google maps (sì, il divorzio definitivo con la nostra guida virtuale era stato già sancito ore prima) ci consiglia quella a sinistra, nuovissima e molto larga. Ha dei blocchi di cemento che impediscono l'accesso alle auto ma noi siamo a piedi. Sarà venuta giù un po' di terra nella carreggiata: ne abbiamo viste di strade chiuse per un po' di terriccio franato.
Saliamo per un chilometro abbondante e ci troviamo di fronte ad una voragine apocalittica. Neanche 50 centimetri per passare. Fango secco e pezzi di asfalto ripido e sconnesso. Il guardrail sospeso nel vuoto come improbabile ponte incandescente.
Via le ciabatte.  Su le scarpe e la buona stella che finora ci ha seguito ci permette di superare indenni la frana.

Aliano è un paesino di 500 anime. Ai tempi del confino di Carlo Levi deve essere stata miseria nera e fame atavica.  L'uso di abitare i sassi non è solo della città di Matera,  solo che qui non è tufo. È terra che "fria", come direbbe Aldo del famoso trio.
Oggi è un borgo ricco di suggestione per via del paesaggio, dei calanchi, delle casupole imbiancate che sembrano avere occhi naso e bocca ma anche degli eventi culturali che si susseguono costantemente. Abbiamo la fortuna di far coincidere il nostro arrivo con l'ultima notte de La Luna e i Calanchi, un festival di musica e cultura del paesaggio. E di salsicce, birra e pollo arrosto. 

Rimessi a nuovo dalla doccia, vestiti sempre con i soliti abiti "da sera" e affamati per aver saltato il pranzo, giriamo a passo lentissimo per questo luogo fermo nel tempo, circondati da una folla molto "alternativa" in un tripudio di gonne lunghe a fiori, sigarette rollate e suonatori di Taranta.

Dopo la cena ci diamo appuntamento con gli ormai amici Amedeo e Teresa, assieme ai quali assistiamo allo spettacolo di Rocco Papaleo chiusi nell'abbraccio da nonna di piazza Pane e Vino. L'inno alla Basilicata,  cantato tutti in piedi ha il sapore di una meravigliosa sigla finale.

Eh sì. Bisogna saper iniziare le cose, ma anche sapervi por fine quando non hanno più senso. Si cammina con i piedi e se i piedi sono tutti una bolla non si va da nessuna parte.

Domattina alle 5.30 passa la corriera per Policoro e -dopo quasi 150 chilometri- noi ci si è rotto i coglioni di seguire vie che non esistono. Si va al mare e tanti saluti all'impresa.

Qui finisce anche il diario.
Per noi è stato un piacere condividere questa esperienza fantastica.
Sì, fantastica e intensa, come tutte le cose dure ma autentiche. E se qualcuno pensa che noi non ci si sia innamorati perdutamente di questa terra lucana, ha frainteso i nostri bisticci e non ha capito che si lotta solo per quel che vale.

"Ba-Ba- Basilicata... ma che ne sai, l'hai vista mai? Basilicata on my mind".

A proposito: il mare Ionio è turchese.  Che si sappia.

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 6

Sabato 23 agosto 2014

Dio si è riposato il settimo giorno. Noi, per rispetto, un giorno prima.

La casetta nel podere di Amedeo e Teresa, protetta da mille ulivi e immersa in un giardino di fiori e pietre, è il luogo ideale per recuperare energia e concedere una tregua ai piedi e ai tendini.

Il programma della giornata è intenso: fare un gran bucato, scrivere, leggere, mangiare, lettera e testamento.
Parliamo di mangiare: Teresa ci ha deliziato con una cucina piena di sapori del territorio. L'orto generoso di verdure saporite, il bosco di funghi e tartufo.  Metti tutto assieme alla pasta fatta in casa e gusta il piatto in un ambiente rustico ma arredato con grande sapienza (abbiamo saputo poi che lo studio degli interni era opera di un giovane ed attivissimo architetto di Aliano, scomparso prematuramente un anno fa). Poi ci sono i salumi, i formaggi, le salsicce,  l'ottimo vino rosso del Vulture e -cosa vuoi di più dalla vita?- l'amaro Lucano.

La giornata passa così, a oziare e ad armeggiare con i compeed e il citrosil.

Con Amedeo e Teresa il feeling è immediato e presto ci troviamo a raccontarci vite e scambiarci idee su questa terra dalla bellezza ruvida, sui pro e i contro dell'essere seduti sul più grande giacimento petrolifero d'Europa, sulla figlia filosofa e sull'olio prodotto nella loro tenuta. La loro disponibilità si spinge ben oltre i doveri del buon ospite: grazie a loro riusciamo nell'impossibile impresa di trovare una camera ad Aliano, nell'ultima notte del festival "La Luna e i calanchi".

La sera si "conza" la tavola nella veranda, in perfetto stile Montalbano. Accese le candele si ascolta il silenzio interrotto solo dal pigolare (sì,  non lo chiamerei "miagolare") di una nidiata di gattini abbandonati dalla mamma e adottati dalla famiglia Falotico. E una storia lunga, di cani, di spostamenti di nido, di istinti, di madre natura e di siringhe di latte per poppanti. Non importa.  Resta che i gattini pigolano,  non miagolano.

Il bucato asciutto da mo'. Scatole di cerotti ovunque. Birra tardiva bevuta. Si va a nanna e domani ci si alza presto. Proviamo a ripartire. Ho detto proviamo.

sabato 23 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 5

Venerdì 22 agosto 2014

E fu sera e fu mattina. Quinto giorno.
Il borgo antico di Viggiano è abitato da due vecchiette e dagli ospiti dei B&B.
Scendo subito in piazza in cerca della farmacia. Dovrebbe aprire alle 8.30. Dovrebbe. Passa il tempo e solo dopo un quarto d'ora realizzo che è chiusa per turno (di venerdì?!). Niente magici compeed (quelli nello zaino non bastano neanche per metà delle vesciche), si fa in altro modo. Cerotti li vendono anche al negozietto della signora Maria.  Ago e filo? "Provi alla merceria ma non so se apre".  Tardi ma apre. "Di aghi ho solo questa confezione da 50 di tutte le misure" - "va bene" - "e il filo di che colore lo vuole?" - serve a bucare le vesciche... "color carne" dico io sicuro.

Per mezzora la camera si trasforma in un misto di infermeria e sala torture. Alla fine si riparte, io col tendine che finché non si scalda urla, lei camminando sulle uova. E ci aspettano altri 25 chilometri!

Giù dalla Rocca, in centro stanno montando le luminarie per la gran festa della sera (che noi ci perderemo).
I soliti 500 metri di strada umana e poi la traccia blu del GPS vira decisa per la trazzera tutta arbusti e spine. Cominciamo ad odiare il nostro sconosciuto Virgilio digitale. Celebriamo con tre secondi di silenzio compiaciuto il superamento dei 100 chilometri dalla partenza. Giusto il tempo di accorgerci che davanti a noi si para l'ennesimo cancello sbarra strada (e nella nostra testa, in sequenza, "cani", "rovi", "tornare indietro"). Salta anche questo e prendi in mano un grosso bastone: si imparano subito le buone maniere in questa terra cruda e bellissima. 

Le successive tre ore sono davvero impegnative. Il percorso ci fa attraversare due vallate tra boscaglie e calanchi esposti. La traccia va e viene come il segnale del cellulare. Ora si perde tra la vegetazione, ora riappare per poi scomparire di nuovo. Il bastone non serve per i cani ma coi rovi nessuna pietà. Si mena a destra e a manca finché si arriva ad un torrente a fondovalle. Sosta. Ombra. Ripartenza. Saltelli di Fortunata.  Io che meno il bastone sui rovi e poi di nuovo la traccia che fa i capricci ed entrerebbe in una proprietà privata tutta recintata da sembrare un lager. Andiamo di buon senso su per un pendio: poco sopra il gps indica una strada. Altro punto morto. Un varco creato dai cavalli. Ci infiliamo e arriviamo nel pantano di una falda acquifera. Dietrofront,  sali di lì,  mena di là, altro filo spinato e strada conquistata.

Bisogna domarla a bastonate la Basilicata, è cruda e non si concede facilmente. Un goccio d'acqua come gratifica. Si lotta ma ormai è amore giurato per questa terra. Però son passate tre ore e troppo pochi sono i chilometri. Non va bene.

Saliamo sotto il sole. Ombre rare ma nobili quelle delle grandi quercie. Una casa rurale in lontananza. Belato di capre e abbaiare di cani. Aridaje! Mentre ci avviciniamo piano, coi cani impegnati a tener calme le bestie, arriva dall'altro capo della strada l'auto del pastore che -capita la situazione- ci fa passare mandando altrove l'armento. Scambiamo due parole con quest'uomo sulla sessantina, occhi color del cielo. È uno dei pochi che resiste a tener viva campagna e pastorizia. In Basilicata, da quando c'è il petrolio, sono arrivati i denari e si fatica meno a lavorare per le grandi compagnie piuttosto che tirare a campare coi mestieri di sempre. Ci chiede da dove veniamo, dove stiamo andando e perché a piedi. "Ma voi che lavoro fate?" (tipo: per aver voglia di riposarsi facendo una cosa del genere...). "Lavoriamo tutti e due con le persone e in vacanza meno ne vediamo e meglio è" vorremmo rispondere. Non importa. È un uomo buono. Ci offre l'acqua della sua sorgente e ci indica di salire per i campi, che sopra c'è la provinciale. L'acqua è salvezza pura e lui è il primo angelo della giornata.

Arranchiamo per i prati arsi ma raggiungere la strada non è mai cosa scontata. Ci sono i rovi e c'è il filo spinato,  amici inseparabili dei nostri polpacci.
Ora la strada compirebbe una lunga ansa. Si può tagliare, dice il nostro perverso amico digitale, superando un colle di prati, pietre e arbusti. In cima troveremo un'altra stradina. E in cima invece c'è un prato con la vegetazione alta 50 centimetri e un altro bel reticolato. Scoramento.

Segui quella fila di alberi. Passa in mezzo qua. Forse si sbuca forse no. Poi sí.  È inutile: questa incertezza è parte dell'avventura. Prima o poi non potremo più farne a meno.

Quindi ti trovi in un altipiano a 1200 metri (per fortuna, col caldo che fa). Strada bianca circondata da vegetazione tutta uguale. Deserto. Chi vuoi trovare? Il secondo angelo, ovviamente.

Il campo di educazione ambientale della sezione potentina dell'OMPA sorge nel nulla. Ma c'è un auto parcheggiata e la musica va a palla. Acqua! No. Molto di più. Molto meglio.
Roberto è una guida naturalistica. Ci ascolta compassionevole mentre raccontiamo le nostre  peripezie e ci dice chiaro e tondo che i sentieri che stiamo seguendo sono i vecchi percorsi della transumanza, che non servono più e nessuno ci mette più piede. Già. C'è il petrolio adesso.
Alla fine gli facciamo pena, o simpatia. Offre a me una birra ghiacciata e a Fortunata un gelato. Rispettivamente la più buona e il più gustoso della nostra vita. Ci dà anche una dritta per accorciare il percorso verso Corleto Perticara, dove siamo riusciti a prenotare una camera in un agriturismo fuori dal centro. Ancora non sappiamo che lì troveremo il terzo angelo (questa volta in forma di coppia!).

Ristorati e incoraggiati (io, per l'entusiasmo, abbraccio una quercia secolare per mezzo minuto buono) iniziamo la discesa verso Corleto. Che sta in alto. Funziona così: lo vediamo davanti a noi a poco più di tre chilometri in linea d'aria ma in mezzo c'è una valle e la strada si allunga e i chilometri che mancano diventano sei.

Sei chilometri con i piedi gonfi di vesciche. Fortunata non sa più che fare col dolore ai piedi. Inizia a correre per appoggiare meno possibile le piante a terra. Io sto zitto ma cominciano in tutti e due a nascere i dubbi sulla possibilità di completare il nostro viaggio. È una vacanza, mica una penitenza!

Dio sa come, arriviamo a valle. Siamo a 150 metri dal paese, ma in verticale. Qui interviene il terzo angelo, fatto di due persone, Amedeo e Teresa, i proprietari dell'agriturismo La Braida di Corleto Perticara. Amedeo ci viene prendere e ci porta in farmacia, a far scorta di medicamenti. Quando arriviamo alla tenuta, immersa tra gli ulivi, l'idea scatta sincronica: "da qua domani non ci muoviamo". La camera in realtà è un appartamento.  Fuori giardino, porticati, fiori e tavolini sotto il patio. La cena ci ripaga di ogni fatica. I nostri ospiti sono squisiti padroni di casa: l'accordo per un'altra notte è preso all'istante.

Domani il cammino si ferma.  Si curano le ferite e si assapora l'ospitalità lucana. Che non è vero che son solo rovi e filo spinato. L'amore per la Basilicata è questione di emozioni forti e di graffi. Non è roba da romanzetti Harmony.

Buona notte stelle.

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 4

Giovedì 21 agosto 2014

All'agriturismo si fa colazione alle 8. Noi alle 7 siamo nel seminterrato a trafficare con la macchinetta del caffè e a spalmare  fette biscottate che neanche i Ringo Boys.

Le poche goccie di pioggia della sera prima sono un ricordo strano di cui resta traccia solo nell'aria fresca di un mattino limpido. Moliterno è lì che ci guarda, arroccata sul colle. In linea d'aria sono 6 chilometri ma per arrivarci alla fine ne facciamo quasi nove. Un po' per via della traccia che stiamo seguendo, che ci mena per boschi seguendo poco più che vestigia di sentieri in disuso, un po' perché probabilmente gli abitanti di questo borgo temono ancora le invasioni saracene. Sbucati sulla statale, Moliterno sopra di noi, nessuna strada in vista per salirci. Proviamo di qua dove è salito quell'invasato che abbiamo scelto come guida. Ma "qua" dove?! La strada va in una direzione non ottimale e finisce in un podere. Chiediamo al contadino se si può salire fino al centro, "mah, in caso di emergenza sí,  ma vi trovate con un muro di rovi e magari ci sono i cani". Non te lo dicono proprio diretti diretti che non ti vogliono tra i coglioni nella loro terra,  ma te lo fanno capire benissimo!

Il carrozziere ci aiuta un po' di più e finalmente troviamo una bella via pedonale che sale dritta fino alla Villa Comunale. No. Non cercare il palazzo che perdi tempo. La Villa Comunale è il parco cittadino. Dopo tre volte lo capisci da solo. Moliterno ha un bel centro storico e ci stanno un sacco di ragazzini in magliette colorate che si cimentano nella pallavolo e nel calcio a 5 tra le vie e le piazze del paese.
Seconda colazione. Il vigile urbano ci guarda sorridendo e dice: "Ah... state facendo Basilicata Coast to Coast?! Ci vogliono gambe e tanta voglia. Solo quelli del nord lo fanno. Statemi bene e tanti auguri!". Grazie. Magari mandate qualche guardia forestale a tenere aperti i sentieri invece di fare gli spiritosi!

Oggi ci aspettano altre due tappe: Tramutola e -per necessità, visto che nella prima meta un posto per dormire non c'è- Viggiano: alla fine saranno 44 chilometri e lasceranno il segno.  Ci rimettiamo tosto in cammino e imbocchiamo una bella stradina in mezzo ai boschi. Va detto che qui i paesaggi sono di un selvaggio che ti entra nel cuore. Puoi fare miglia e miglia senza mai incontrare nessuno e neanche un minimo segno di presenza umana (eccezion fatta per il filo spinato che ti segue ovunque). Camminiamo da un bel po' quando, dopo aver oltrepassato l'ennesima catena di demarcazione della proprietà della strada, intravvediamo una cascina in lontanza. In questo caso la prima speranza è quella di poter ripristinare la scorta d'acqua. La realtà ha invece l'aspetto di quattro cani a sbarrarci la strada a ringhi. Proviamo ad avanzare. Aumentano le minacce. Alternative? Google maps dice che tornando indietro per 30 minuti si incrocia un'altra strada per Tramutola. Tornare indietro: che bruttissime parole! Uno sguardo ai cani e giriamo i tacchi. E quella che era stata discesa in un sol gesto diventa salita.

Lo scherzetto dei cani ci è costato tempo e allora bisogna accelerare il passo.
Quanto Moliterno si vedeva da ovunque, tanto Tramutola si svela solo all'ultimo chilometro. Vi arriviamo nel primo pomeriggio già provati, assetati e affamati. Entriamo in paese e non c'è anima viva. Un signore sta trafficando con la vernice nello scantinato. Gli chiediamo dove si possa mangiare qualcosa. Noi con lo zaino e l'aria del turista stampata in faccia. Lui con le braccia ai fianchi: " siete pratichi del centro?". Certo. Veniamo qui ogni sabato. Insomma, a farla corta c'è solo un bar vicino al benzinaio (scopriamo poi che aveva aperto poche settimane prima...) e lì ci piazziamo, scaraventando a terra gli zaini e mettendoci in ciabatte come fosse casa nostra.

Ci concediamo un po' di tempo perché altri 20 km ci separano da Viggiano (percorrendo ovviamente itinerari sghembi) ma poi ci dobbiamo rimettere le scarpe. Siamo così cotti che decidiamo di saltare la visita alla piazza, dove era stata girata una scena famosa del film che ci ha ispirati in questa avventura. Il sole picchia forte mentre seguiamo un sentiero che costeggia un'antica conduttura dell'acquedotto. Cosa sia l'ombra di un albero e i 5 secondi di fresco che ti procura lo capisci solo in queste circostanze.

Poi appare, Viggiano, in lontananza. Tanta lontananza accidenti. Fortunata zoppicante. Ha male ad ogni dito di uno dei piedi e sente i talloni fiammeggiare di vesciche. Tace e cammina stoicamente,  ma si capisce che  ogni passo è una fitta. Si va per campi e stradine ad angolo retto, sperando di incappare nella doccia dell'irrigazione destinata al mais e invece nulla.

Ormai è sera e mancano ancora chilometri. Passi automatici, velocità media che cala di ora in ora. Un casale. Una fontana col contadino che tiene buono il cane. Altri passi. Altri saltelli zoppicanti.

Siamo alle porte, ma Viggiano e aggrappata ad un colle e la rocca vicino alla quale c'è il nostro B&B è un bel po' in alto. "Ce la fai?". "Sì". Su la frontale e via per l'ultima salita.
Arriviamo in centro. Ci sediamo in mezzo ad una rotatoria e aspettiamo che la Panda del gestore del B&B ci venga in soccorso.  Prima di inerpicarci sul vecchio borgo prendiamo due pizze da asporto che mangeremo quasi fredde nel cucinino ma chissenefrega. A togliere i calzini ci penseremo dopo, che lo spettacolo potrebbe togliere l'appetito!

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 3

Mercoledì 20 agosto 2014

I giorni critici si vedono fin dal mattino.
Alle 7 il frigo della colazione completamente vuoto, rapinato da ospiti più insonni e meno onesti di noi. Si fa colazione al bar e poi si parte zaini in spalla. Dopo 15 minuti di cammino ancora le nostre teste sono sovrastate dai nuovi svincoli di Lauria nord: un gran bel vedere insomma; poi finalmente inizia la salita verso il monte Serino.
Il sentiero è terra arata e battuta dalle gomme esagerate dei Quad. Qui in montagna mica si va a piedi eh?! Se tu chiedi a qualcuno quanto ci si mette ad arrivare là a piedi questo ti guarda con l'occhio da bue e ti dice "boh". Ed è pure meglio se ti dice che non lo sa, perché quando provano a sparare i tempi di salita son proprio fantasiosi: "in macchina ci vuole mezz'ora. A piedi penso un'ora...".O qui le macchine vanno a pedali o di andare in giro camminando la gente lucana manco ci pensa. Delle due una.

Saliamo dunque per questo sentiero dritto e moscoso. Tafani, per la precisione, a girarti intorno come fossi l'unica bestia nel raggio di chilometri. E probabilmente è proprio così!
Raggiunta quota 1200 metri, inizia un altipiano in mezzo alla steppa e non finisce più. Unica compagnia, i segnali del metanodotto della Basilicata.
Il panorama potrebbe essere carino ma non si vede nulla per via di felci ed equiseti alti due metri, che neanche nel giurassico.

Poi la scena si apre, dall'altra parte della valle monti alti e brulli e addirittura qualche casa. Noi si procede senza sapere bene cosa ci aspetterà. Abbiamo sentito parlare di un lago e di un rifugio, ma non sono in itinerario e allora ciao.

Dicevamo delle giornate critiche. Oggi il problema è dato dal nulla che ci accompagnerà fino alla meta: Moliterno. Tanta strada. Niente soste vere, solo un goccio d'acqua e si riparte. E si sbaglia strada. Con la traccia GPS te ne accorgi ma non subito, percorri 100 o 200 metri prima di vedere che il segno rosso ha preso un angolo diverso dal segno blu. Forse è di qua... No. Allora proviamo di là. No. Ma non ci sono altre strade! Aspetta, qui c'è la parvenza di sentiero. Il GPS conferma e noi si affronta la sterpaglia che invade sempre la via giusta.
Questa scena si ripete più volte. Troppe volte. Ma alla fine si trova, alla fine si va.
Poi ad un certo punto tutte le vie sembrano perdersi nel nulla. Proviamo almeno 5 direzioni diverse ma tutte portano altrove o si spengono nei pascoli. E noi ci entriamo, in mezzo ai pascoli, col gps puntato a mirare una ipotetica intersezione con la nostra traccia lì, a meno di 50 metri. Ma il bosco e la sterpaglia spinosa diventano un muro e ci tocca fare i moonwalker.

Due scelte: abbandonare la nostra traccia e seguire l'unica strada che meritasse quel nome in mezzo a tale deserto di abbandono. Oppure tornare ad insistere tra i rovi della direzione giusta. E così facciamo. E facciamo bene! Malmesso ma c'è: vittoria! Certo, di Pirro.
Un cancello con tre ordini di filo spinato ci sbarra la strada. Davvero questi lucani non ne vogliono sapere dei turisti a piedi.
Oh beh, ma arrivati a questo punto mica ci fermiamo di fronte ad un reticolato. C'è lì vicino una branda metallica e siamo del tutto intenzionati ad abbattere l'ostacolo: sto ancora saltando sulla rete del letto per cercare di staccare almeno un giro di filo spinato che un tipo si avvicina alle nostre spalle. È un pastore, o il mandriano, che importa: non sembra contento.

Lei, subito, "ci siamo persi...".
Io, ridicolo, mostro all'orso lucano il mio palmare con la traccia del sentiero. "Non ci siamo persi, è che il sentiero sparisce".
E lui, tranquillo: "voi siete perfetti nel sentiero, solo che il sentiero non c'è più" - concetto chiarissimo, mancava solo la mano sulla fondina - "vi faccio passare ma vi conviene raggiungere la strada asfaltata, che qui è tutto cancelli. E cani".
Quell'ultima parola ci convince definitivamente. Asfalto: a noi!

E dopo chilometri di sentiero deserto, arrivano chilometri di strada nel nulla. Fame e ginocchia incazzate. Morale a terra e passi automatici finché una giovane contadina non ci dice le due parole magiche "agriturismo" e "vicino".

La facciamo breve: alle 15 siamo con le gambe sotto il tavolo in un trionfo di pasta porcini e tartufo.
Per oggi ne abbiamo abbastanza. Ci si ferma qui.

venerdì 22 agosto 2014

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 2

Martedì 19 agosto 2014

Lasciamo Trecchina senza granché da ricordare e imbocchiamo una serie di stradine in direzione Lauria. La meta è visibile, dall'altra parte della valle: sarà tutto semplice.
Incontriamo pure Biagina, simpatica vecchietta dagli zoccoli in gomma che saltella tranquilla tra ciotoloni ruzzolosi che noi quasi ci si scatapiglia.

La baldanza dura neanche il tempo necessario a scaldare i polpacci. La traccia che col nostro GPS dovremmo seguire è interrotta da una sbarra e chiusa da rete metallica. Unica alternativa rischiare la vita seguendo la statale per quasi dieci chilometri. Eh no! Si cerca un passaggio, si spostano frasche e canneti ma niente. Non si passa.
Quindi si torna alla sbarra: c'è una corda che la fissa al piantone... Proviamo a toglierla ma non si muove nulla. Ok, scavalchiamo! Solo in quel momento ci accorgiamo che la sbarra all'altra estremità si può muovere e spostare: "allora non era chiusa! È solo una protezione per non far uscire gli animali" dico io illudendomi di aver capito tutto.

Imbocchiamo la stradina. Seguiamo perfetti la traccia GPS, notiamo che la vegetazione ha un po' attecchito sul sentiero ma niente di che.
Raggiungiamo un torrente, scattiamo due foto e poi altro cancello, altra rete metallica a bloccarci la strada. Ma quello ormai non ci ferma più. Molto più preoccupante la condizione del sentiero, completamente invaso da alta vegetazione, ivi compresi cardi e rovi. Torniamo indietro? No.
Andiamo avanti? Mah...
E ancora a scavalcare, incuranti dei messaggi di dissuasione dei padroni di casa.
Ci saranno 30 gradi ma ci tocca indossare pantaloni e maniche lunghe. E avanti. La sbarra successiva parla più chiaro: divieto di accesso - proprietà privata. Scavalcala. 20 metri altra sbarra e fine della proprietà privata. Fottuti Lucani.

Usciamo dalle spine e pestiamo soddisfatti l'asfalto fino a Lauria. Un po' di giri a vuoto in cerca di un centro storico che in realtà non c'è e lo stomaco comincia a reclamare.

La tentazione di entrare nella prima tavola calda e farla finita c'è. Ma oggi ci va di scavalcare. Saliamo, chiediamo, troviamo chiuso, insistiamo (ma sempre salire bisogna) e alla fine la costanza è premiata. Un ristorante come si deve e un tavolo in terrazza. Un litro d'acqua scompare in due secondi e si può finalmente degustare. Maccheroni al ferro (sì, ferro non farro) con sugo piccante al pomodoro e striscicati salsiccia e funghi. Un calice di Aglianico e uno di Falanghina. Il gelato? Lo Zucco , una specie di tartufo artigianale in vari gusti. Il conto? Onestissimo.
Come sempre, pieno lo stomaco, si pensa a dove posare le chiappe stanotte.

Il prossimo centro è a più di 20 km e in mezzo c'è la vetta di un monte.
Meglio limitarsi a 6 chilometri e trovare un affittacamere proprio vicino allo svincolo A3 di Lauria Nord. Posto deserto ma camere nuovissime. Vabbe', l'anonimo esterno e l'arredamento all'interno fanno intuire che si tratti di un ottimo nido per coppie clandestine. Ma sotto c'è una pizzeria da camionisti e la doccia è una priorità non negoziabile.
Domani ci aspetta un percorso selvatico, meglio recuperare forze e riparare le magagne.

Basilicata Cost quel che Cost - giorno 1

Lunedi 18 agosto 2014

Una spalla sublussata da una parte. Postumi di una febbre a 38, una leggera distorsione all'alluce destro e un Herpes labiale invasivo dall'altra.
Non è l'esito, è l'inizio.
Con questo quadro clinico confortante partiamo da Amalfi. Uno strappo in auto fino a Minori, le curve della costiera in autobus fino a Salerno a far ballare lo stomaco e infine due ore di treno regionale sovraffollato in direzione Maratea, con scene da terza classe di altri tempi.
Ma ora siamo qui, sotto il Cristo Redentore. E si comincia.

Il programma del primo giorno sarebbe stato il solo trasferimento da Amalfi a Maratea, noi però non ci si fa mancare nulla. Maratea, nobile e sdegnosa, ci rifiuta l'ospitalità. È tutto pieno. Non c'è posto. Oppure ci sta, ma costa caro e si dovrebbe tornare giù a livello mare. Indietro no: è una regola.


Sono le 18. Quanto dista Trecchina, il centro più vicino? 11 chilometri. Lì c'è una stanza e la troviamo grazie alla gentilissima impiegata dell'ufficio turistico di Maratea: non che avesse altro da fare, ma con noi ha fatto più del suo dovere. Si parte subito a piedi, anticipando parte del percorso previsto per l'indomani. La donna sorride ma si capisce che tra sé e sé si chiede chi ce lo faccia fare.

La strada è asfalto e macchine che sfrecciano un po' troppo vicine. Ad un certo punto l'itinerario scaricato da internet che dovremmo seguire grazie al gps ci mette di fronte ad una strada  chiusa da rete metallica e filo spinato. Forse ci siamo sbagliati, non abbiamo ancora confidenza con lo strumento. In ogni caso meglio sacrificare la variante panoramica e scegliere quella più veloce: i monti alle spalle accorciano il crepuscolo. 

Alle 20 siamo a Trecchina. E i manifesti dicono che stasera c'è pure il concerto di Fiordaliso in piazza.
Doccia. Si lava la maglia che ha già 500 metri di salita a livello ascelle da epurare e si esce.
Cibo! Il ristorante scelto coi Social ovviamente è pieno. Vanno tutti lì. Il primo tavolo libero è alle 23.00. Grazie tante. Poco più avanti c'è la trattoria alla Tettoia (che a noi subito era parsa "alla tettona". Ma no, proprio no, non era così).
Cucina casalinga, onesto l'Aglianico del Vulture sfuso, superbo il salame di cioccolato, degno del bis. Tira un'aria fresca e mi sa che il concerto di Fiordaliso lo si ascolta dalle finestre della camera.

Appoggiando la testa sul cuscino, la domanda ci ronza ancora dentro: "perché lo fate?".
La risposta ci sarà alla fine. O anche no.