martedì 18 agosto 2015

Cosa c'è alle Azzorre quando l'anticiclone se ne va a spasso - 2b

Seconda tappa: Pico - 14 -17 agosto - parte seconda

Un grande cono a base larga, con un cornetto in cima (o un capezzolo, a seconda dei gusti). Questo è il vulcano di Pico da ovunque lo si guardi. Per arrivarci basta seguire le indicazioni per la "montanha", finché a 1200 metri trovi il nuovo "campo base", una struttura ben organizzata dove tutte le persone che vogliono salire in cima al vulcano (loro dicono climbing,  ma mi sembra esagerato per un 1° grado seppur sdrucciolevole) si devono registrare, ricevono un GPS numerato,  compilano un po' di moduli e si vedono un filmino terroristico sui pericoli dell'andar per monti e crateri.

Ora, da queste parti i sentieri li tracciano cosi: una linea dritta tra il punto di partenza e il punto di arrivo, con il minimo delle deviazioni possibile. 45 paletti numerati a marcare il percorso obbligato (pena pagare 1000 euro di elisoccorso,  se facendo il pirla ti fai male fuori traccia) e 1100 metri di dislivello verticale, con le mani spesso a terra e il collo tostato dal sole. Bene per noi che abbiamo trovato una giornata limpida, perché il più delle volte la montanha è incappucciata e non si vede una mazza nè suprasutta.

Noi siam partiti con calma, muovendo i primi passi nel sentiero poco dopo le 9. Dopo mezz'ora di salita abbiamo cominciato a vedere gente che scendeva. Ma come? Se ci si mette circa 3 ore a salire, questi a che ora son partiti? La domanda è  apparsa contemporaneamente nelle nostre due testoline, mute per la concentrazione (e lo sforzo dai).  Are you italians? Chiediamo alla prima coppia che vediamo vestita decentemente. Sì, beccati. E spiegati. Il trend dei gruppi organizzati è quello di partire di notte con la frontale e il sacco a pelo e aspettare l'alba dentro al cratere, per poi scendere come zombie tra le colate laviche impietrite.

Paletto 22. Siamo a metà e io comincio a sparare la mia previsione: 2 ore e mezza a salire e altrettanto a scendere (al Campo Base danno come stima 3 ore a salire e un ora in più  a scendere,  per via che si rischia di finire col culo a terra). Si va su con calma ma a passo costante e senza soste, superando le comitive perché Pozzan non sopporta di avere file davanti (e Fortunata in questi casi non sopporta Pozzan).
Paletto 40. Dai che è fatta. L'ultimo sforzo e davanti a noi si apre il grande cratere ancora nerastro. 45!

Ora resta solo l'ultimo tratto, dove serve davvero arrampicottare: Fortunata decide che non è cosa di rischiare per alzarsi di 50 metri e io vado, accostandomi ad una guida ultra senior che mi dà due dritte sul percorso migliore da seguire. Qui la regola è una e semplice: "la roccia è  amica, il terriccio no". E se scivoli sul terriccio e cadi sulla roccia vulcanica lo capisci da solo il perché.

In cima, in pochi metri quadri, ci sono 15 persone e una di loro è  Silvia Zanetti, del CAI di Vicenza. Non si può  davvero farla franca, mai!
Il panorama lascia senza respiro e ripaga di ogni sforzo. Da lassù  l'oceano sembra ancora più  infinito.
Foto di rito e poi giù in discesa, sempre dritti, sempre ripidi.

Alla fine la mia previsione sui tempi si è  rivelata giusta e questo ci ha permesso di scendere a valle e avere il tempo per un bel bagno nelle piscine salate di Sao Roque, con l'immancabile copa di vino bianco ghiacciato.

E la diversità dove la mettiamo? In ogni passo, in ogni cambio di vegetazione, in ogni piega della roccia, polenta solidificata nel momento stesso in cui viene versata, in ogni direzione dove si posa lo sguardo. Ma in un vulcano la diversità non è  più solo discontinuità, perché  assume i contorni spietati della lotta. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.

E noi? Una giornata così memorabile s'ha da chiudere in bellezza: ci penserà il cuoco del ristorante Canto do Paco.

(To be continued)

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