Volo Lisbona - Venezia - 24 Agosto 2015
Dico a me stesso che volando a più di 10 mila metri dal suolo le idee si fanno più chiare, in realtà due ore e mezza in qualche modo bisogna farsele passare, visto che ormai le riviste di volo le ho lette sia in inglese che in portoghese e l'unico libro al seguito è finito che eravamo ancora a Pico. Allora scrivo.
I pensieri sono tanti e i ricordi tendono già a sovrapporsi in questo viaggio di 13 giorni (durata effettiva, un mese durata percepita!). Come sempre mi affiderò alle suggestioni, per cercare di dare unità alle esperienze pur lasciando tante cose fuori dai bordi. Frammenti che non necessitano di essere assemblati e godono di vita propria.
La prima suggestione riguarda le Azzorre, la seconda Lisbona.
Sull'origine vulcanica di queste splendide isole oceaniche è già stato detto tutto. Quello che invece ho scoperto, prendendomi la briga di leggere uno dei tanti pannelli informativi distribuiti nei centri di interesse naturalistico, è che si trovano nella congiunzione delle tre grandi placche continentali: quella africana, quella euro-asiatica e quella americana. Dovrei controllare e in volo non si può, però mi viene da pensare che sia l'unico punto della crosta terrestre in cui questo incrocio è possibile. A meno che l'Australia non faccia placca a parte, le nove isole dell'arcipelago sono distribuite in tutte e tre le grandi placche continentali. Non è grandioso? Non è bello pensare che la pacifica convivenza di tanta diversità in questi luoghi altro non sia che il frutto della saldatura lavica di tutte le geografie naturali e culturali? Magma proveniente dalle profondità del pianeta è uscito da questo lasco e secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, ha raggiunto la superficie creando l'arcipelago. Poi ha scoreggiato un po' nella storia più recente (ok, uno di questi peti a spruzzo ha pure generato Pico) formando i famosi "Mosterios" ma i giochi per questa nostra era sembrano fatti. Qui è il vero ombelico del mondo, caro Lorenzo. Qui è dove le mucche pascolano sui pendii di un vulcano guardando il mare e abbeverandosi ad un lago pluviale, prendendo pioggia, sole e vento nello stesso giorno. Qui è dove puoi immergerti in una calda sorgente solforosa e subito dopo fare il bagno nel freddo oceano. Qui è dove si comprano i Pick up nuovi, gli si smonta il cassone e lo si sostituisce con uno di ferro e legno fatto come una volta. Ok, la smetto con questa storia!
Magari piano piano questa allegra diversità imparerà a convivere su tutte le grandi placche della terra. Chissà.
A Lisbona, nel quartiere di Alfama, la parola più pronunciata, scritta e cantata è "Fado". Cercate su google le informazioni attendibili su questa grande tradizione di canto popolare: io sono a caccia di suggestioni.
Ammetto che avevo sottovalutato il fenomeno. Fortunata c'aveva provato in due o tre occasioni a propormi la cena accompagnata dalle chitarre e dal canto del Fado, ma vedendo il mio occhio spento non aveva insistito. Poi alla fine l'ultima sera, di rientro da una intensa giornata al centro culturale di Belèm, siamo tornati nell'antico quartiere e abbiamo preso un tavolo alla Taverna Esquina. "No queijo e no manteiga, ok paõ" (rituale necessario per non vedersi addebitato l'antipastino di formaggio burro e olive che ti portano senza che glielo chiedi, facendo lasciare il pane, che si paga meno di un coperto da noi): fin qui tutto normale. Camerieri indaffarati, tavolini incastrati ovunque, facce di tutte le nazionalità e gli americani capaci di bere aranciata anche col bacalaõ.
Ad un certo punto la scena cambia. Si spengono le luci in sala e si chiede silenzio: è il momento sacro del Fado. Due attempati maestri imbracciano uno la chitarra tradizionale portoghese, l'altro (presentato come "il professore", vera incarnazione della saudade) la chitarra classica. Entra in scena la cantante e inizia la magia. Nessuno fiata (e se uno ci prova i camerieri intervengono subito con cortese fermezza). Applausi e tocca ad un'altra cantante (ma allora sono due!): 82 anni, più frizzante di un prosecco. Sono note di malinconia, di amori infelici e ferite mai chiuse. Ma il finale è sempre orgoglio puro e tanta forza. Il giovane alto e volutamente scavato che aveva introdotto la serata prende posto davanti ai maestri e inizia il suo canto (e siamo a tre) ma qui arriva il capolavoro: un'altra voce interviene e un'altra ancora. Sono i camerieri, che continuando il loro lavoro partecipano al canto che ormai è teatro vero.
Applausi sinceri e qualche lacrima, anche in chi non sa il portoghese. Anche in chi mi stava davanti e non mi aveva detto quanto amasse tutto ciò.
Non mi interessa parlare del Fado come espressione artistica, non saprei neanche da dove cominciare. Ma in questo canto ho visto davvero l'anima di un popolo che la storia ha voluto tra i grandi conquistatori e poi ha relegato per secoli al ruolo di comprimario povero. Quanta passione, quanta professionalità e quanta consapevolezza in questi artisti sconosciuti, celebri per una sera davanti ad un pubblico che forse non li ascolterà mai più. Dignità, orgoglio e forza che si tramandano da generazioni e dicono al mondo: "noi siamo arrivati per primi alle Indie via mare, noi per primi abbiamo circumnavigato la terra. A noi non fa paura l'oceano, figurarsi la povertà".
Questo, signori miei, è il Portogallo.
Iniziamo a scendere: Venezia è vicina.