lunedì 3 gennaio 2022

E VISSERO FELICI E IMPERFETTI... - Natale 2021

 

“C’era una volta, in un regno molto molto lontano…”


Se tante favole iniziano così, facendoci volteggiare in una dimensione appena tratteggiata del tempo e dello spazio, un motivo ci sarà. E per scoprirlo basta aspettare la fine del racconto, dove a titillare i nostri sogni di bambini troveremo il più celebre degli epiloghi: “e vissero per sempre felici e contenti”.


Insomma, il lieto fine dove “andrà tutto bene” c’è, ma si trova a latitudini spazio temporali vaghe e -in oggi caso- sempre “far far away” da dove ci troviamo noi. Tu coltiva pure l’illusione che, dopo tante fatiche e traversìe, ci sarà sempre la miracolosa composizione di quel puzzle disperato da 1 milione di pezzi che è la nostra vita quotidiana. Tu continua a sperare nell’evento miracoloso che darà una svolta decisiva alla tua vita, teletrasportandoti dalla prosa di un’esistenza piena di limitazioni verso la meritata felicità (che, non so come mai, ha spesso a che fare col conto in banca).

Ricordati però di quello che fa l’orco Shrek nell’omonimo cartoon di esordio, quando nel cesso fuori dalla sua stamberga legge la fatidica frase che conclude ogni fiaba: strappa la pagina sghignazzando e la usa per il meno nobile degli scopi per i quali è stata inventata la carta.

Le favole hanno una funzione straordinaria nell’età evolutiva. Vi confesso anche che a me personalmente piacciono da morire le illustrazioni che si trovano nelle edizioni per bambini: passerei ore in libreria solo a guardare i disegni, senza leggere una sola parola. 

È bello e utile interiorizzare “il viaggio dell’eroe”. Eroe spesso improbabile, mai fortunato, che sa cogliere lungo il cammino tante piccole cose che lo aiuteranno al momento decisivo a raggiungere il suo scopo, che quasi sempre è liberare una principessa prigioniera -se gli va bene- di un drago e sennò di uno psicopatico che condensa in sé tutto il male del mondo, in modo che lo si possa poi epurare con un solo colpo di spada.

Però poi si cresce, subentra un po’ di malizia e soprattutto di disillusione. Si comincia a sospettare che, dopo il finale in cui Cenerentola e il Principe si allontanano "felici e contenti" in carrozza, qualche piatto prima o poi se lo siano tirato addosso. Soprattutto ci si rende conto che quello che vale per i prìncipi e le principesse non è detto sia altrettanto valido per la gente comune. Peggio, si viene pure a sapere che anche i prìncipi sono frustrati e le principesse possono essere tristi e morire giovani. Ecco quindi spuntare i fiori del male: la rassegnazione, la negatività che contamina di nero ogni cosa, il pessimismo o peggio ancora il cinismo più spudorato.

Poiché non si riesce più a mettere insieme i sogni, i desideri e la realtà, ci si arrabbia col destino e si adotta una gamma di comportamenti disadattati che portano ancora più lontano (far far away) dalla pur sempre agognata felicità.

Di solito a questo punto, abbandonati alla polvere i libri di fiabe, arriva qualcuno che ti annuncia che non tutto è perduto, che i sogni possono davvero trasformarsi in realtà, basta cambiare i propri pensieri e crederci fino in fondo. Ovvio, potrebbe servire un aiutino sotto forma di saggio, convention X-qualcosa, contenuto multimediale a pagamento, consulenza personalizzata su come si fa a vivere bene: ma vuoi davvero spilorciare sulla tua felicità?!

E siccome siamo un popolo “di dura cervìce” (lo dicevano già le Sacre Scritture), bisogna stimolare la visualizzazione, creare immagini mentali di felicità e successo, tornare a titillare i nostri sogni bambini di felicità incondizionata. E così succede che, grazie al social media marketing, tutti i nostri device siano bersagliati dai racconti di guru, maestri di vita, influencer e altri abili cantastorie che ci aiutano a credere di nuovo a un happy end adulto e possibile. Che arriva per 1 persona su 10.000, a essere ottimisti e con buona pace di Gianni Morandi & Co.

Per questo l’emozione che statisticamente è più diffusa tra noi privilegiati abitanti della terra, intendo quell’1% che controlla il 50% delle risorse del pianeta, sembra essere la frustrazione, che va a braccetto con la rabbia, l’intolleranza e la paura. Poiché non possiamo realizzare il mondo dei sogni, dove tutte le tessere del puzzle sono al loro posto, ci incazziamo con tutti e diamo vita a bipolarismi manichei dove chi non la pensa come noi è un gran figlio di Cenerentola (ah non lo sapevate che Cenerentola… vabbè, non vi spoilererò il sequel).

Eppure…

Eppure la natura e la stessa nostra esistenza ci insegnano che la bellezza non ha quasi mai a che fare con la perfezione. È bello lo sciabordìo delle onde di un mare calmo sui finissimi ciottoli di una cala in Sardegna, ma è straordinariamente bella anche un’onda tremenda di 100 metri nelle coste portoghesi dell’oceano. È bella la crepa che spacca la roccia di una montagna, sono belli gli occhi dal colore dispari di un Husky, è bella la spaziatura tra i denti di Vanessa Paradis ed è bello pure il naso importante di Gérard Depardieu.

Forse, e dico forse, il segreto della felicità è qualcosa di simile all’accettazione dell’imperfezione. 

Riuscire a essere sereni rispetto al fatto che il limite ci appartiene costitutivamente, che l’imperfezione è un ingrediente indissolubile della nostra vita e della nostra esperienza del mondo, è forse, e dico forse, la condizione necessaria anche se non sufficiente per essere un po’ più rilassati e tolleranti. 

Gustiamoci la rosa con le spine, la noce dentro al gheriglio ostico, il pizzicorìo forte al naso quando mangi la mostarda veneta e amiamo senza “se” e senza “ma” quegli esseri umani che le nostre scelte ci hanno messo a fianco e anche quelli con i quali abbiamo cozzato nelle nostre orbite probabilistiche. 

Noi imperfetti, gli altri imperfetti, il mondo imperfetto: tutto quadra, non ci dobbiamo per forza accanire. Possiamo riposare un po’: tra Natale e l’Epifania il mondo ce la farà anche senza di noi.


Buon Natale, esseri meravigliosamente imperfetti


Andrea Pozzan

Filosofo non praticante


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