Poche cose sembrano lontane dalla nostra cultura, ormai saldamente laica, come la Liturgia sacra.
Le ritualità di moda sono altre: la fila ordinata per acquistare l'ultimo modello di iPhone, la presenza all'ora giusta nei locali giusti frequentati dalla gente giusta, la scelta dell'outfit appropriato (quanto odio questa parola), la devota consultazione dei social e delle chat e altri cerimoniali di cui è condita la nostra quotidianità da millennials brizzolati.
Siamo ormai alla vigilia della Pasqua e allora mi perdonerete una piccola e nostalgica incursione in questo terreno ormai poco frequentato.
La liturgia, nonostante ai nostri occhi possa apparire per lo più come vuota sequenza di gesti consunti, è ricca di simboli nei quali è contenuto un messaggio, un "memento" che invita a riflettere su un particolare aspetto dell'esistenza. Gli esperti contemporanei di counseling parlerebbero di "ancoraggi": la chiesa cattolica ci era arrivata secoli fa.
Non dò per scontato che tutti abbiano frequentato la chiesa, almeno nella prima parte della loro vita, ma penso non sia difficile ricordare che nei periodi di preparazione al Natale (Avvento) e alla Pasqua (Quaresima) i celebranti indossano paramenti di colore viola. Per motivi che onestamente ignoro, il viola è collegato alla penitenza e alla mesta riflessione sul fatto che siamo come foglie attaccate a un albero e quindi prima o poi destinati a ingiallire e cadere. Non per niente il viola è il colore delle vesti del sacerdote anche durante i funerali.
Ma c'è una domenica, durante il lungo percorso della Quaresima (anche dell'Avvento, ma non fatemi andare fuori tema), nella quale i paramenti sono rosa. Sì, rosa: è la domenica "Laetare", che significa "gioite", tirate un respiro di sollievo, fate una pausa da tutta questa mestizia e penitenza. Il tempo della Pasqua è vicino e ci possiamo rilassare un po'!
A me pare bellissimo il fatto che la Liturgia abbia previsto una sospensione, un break. Ha il sapore di una tappa di ristoro durante la marcia domenicale, di un momento di relax nel mezzo di una maratona lavorativa. È molto umano.
Ovviamente quasi nessuno vive più la quaresima come percorso purificazione: la penitenza, l'eliminazione di gratificazioni alimentari e di altro genere, la scelta di piccole rinunce per temprare lo spirito non sono decisamente di moda. E forse va bene così, ma non è questo il punto.
La questione che ha ispirato questo pensiero pasquale è un'altra: senza cammino e senza fatica la pausa non dà gioia. A rigor di logica, non è neanche necessaria.
Per un nullafacente "ogni giorno è domenica", diceva un mio vecchio amico, intendendo che la mancanza di differenza tra i giorni dell'impegno e i giorni del riposo, rendeva questi ultimi privi di attrattiva e significato.
Se la nostra vita scorre nel tentativo di evitare i problemi e di rincorrere le cose piacevoli, se non c'è qualcuno o qualcosa per il quale decidiamo che vale la pena fare fatica e anche soffrire un po', succede inevitabilmente che non "sentiamo" più il sollievo: ed è una perdita gravissima. Il sollievo è leggero perché libera da un peso e ci prepara a ripartire: siamo stati programmati così. Muli da fatica che sanno fermarsi e godere: è tutta questione di trovare il ritmo giusto. Senza evitare l'impegno duro, sapendosi fermare e vestirsi di rosa.
Colore davvero insolito il rosa per un rito religioso: forse voleva essere all'origine un viola slavato, attenuato, ma perché non pensare che invece la scelta sia stata un omaggio al fiore prezioso che nasce su rami spinosi, simbolo ancestrale di bellezza e di grazia.
Il cammino è stato lungo e faticoso, siamo quasi arrivati e possiamo concederci un meritato riposo: alziamo la testa, guardiamo la bellezza che ci circonda, posiamo lo sguardo sulle persone che amiamo e dedichiamo un po' di clemenza anche a tutti gli altri.
È quasi Pasqua, è quasi finita: andrà meglio, ci salveremo.

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