lunedì 23 dicembre 2019

IL SOLE CHE TRAMONTA - Natale 2019


“El sol che nasse l’è più adorà del sol che tramonta”.

È il motto della meridiana posta nel cortile di una nota azienda della Valpolicella, e dice una grande verità.
Funzioniamo pressapoco così: celebriamo il principio e piangiamo il finire.

L’inizio porta in sé entusiasmo, speranza, premesse e promesse.
La fine odora di perdita, di abbandono.
Il declinare, lo sgretolarsi di ciò che si avvia a finire ci angoscia e ci spaventa a morte, parola quanto mai adatta al contesto.

Noi non vogliamo che le cose finiscano. Punto.
Non vogliamo che finiscano anche se non ci piacciono poi così tanto: l’incognita è peggiore del malessere. Per questo ci opponiamo, a volte con tutte le nostre forze, e non non ci va proprio di adorare il tramonto.
Eppure.
È la natura che ci insegna come tutto ciò che nasce abbia origine dalla morte di qualcosa che lo precede. La migrazione di stato passa per la decomposizione più o meno graduale dello stato anteriore. La gemma non è più gemma quando diventa fiore e il fiore non è più tale quando diventa frutto. Per diventare frutto perde per un po’ la sua bellezza di fiore, i suoi petali si disperdono al vento, l’ovario che contiene i semi si ingrossa e diventa anche un po’ sgraziato, ma solo così può diventare frutto polposo. Godiamo del fiore, godiamo del frutto e poi piantiamo il seme. E tutto ricomincia, nel moto circolare di cose che, finendo, danno inizio ad altro.
La vita è tutto un aprire e chiudere, che a noi umani piaccia o no.
In realtà lo sappiamo benissimo. Sistole senza diastole non è battito. Solo inspirare non è respiro.


Ora forse siamo disposti ad ammettere che la natura e il nostro organismo funzionano così, ma non ci piace il resto della storia. Non ci piace il fatto che anche la nostra vita personale, lavorativa, amorosa e affettiva si muova al ritmo di questa danza.
Eppure.

Quando una relazione, un rapporto di lavoro, il progetto di un’impresa entrano in una fase di crisi e di trasformazione così profonda da non ri-conoscersi più nel “chi”, nel “cosa” e soprattutto nel “come”, per tutti noi la diagnosi è chiara: le cose vanno male. Molto male. Probabilmente finiranno.
Che peccato, diciamo. Per fortuna, dovremmo dire!
Si avvicina la fine del ciclo, serve pulizia. Allora, fuori dalla finestra tutte le cose vecchie e stantìe, liberiamoci dalle zavorre e permettiamoci di stare per un po’ nudi e spaesati.
Da quel nulla nascerà sicuramente qualcosa di realmente altro e nuovo rispetto al prima.
A diventare obsolete non sono le persone, sono soprattutto le modalità, le prassi, le abitudini a cui sono affezionate e che hanno contraddistinto l’inizio di un rapporto, di un’impresa, di un progetto.


Imparare a celebrare il sole che tramonta: è il mio augurio per questo “finir d’anno”. Lo ha detto anche quel bambinello, che in questi giorni vediamo adagiato in mille presepi, una volta cresciuto: “se il seme piantato in terra non muore, non porta frutto”. E lui, di cose che finiscono e rinascono, ne sapeva qualcosa.

Buon Natale 
Andrea Pozzan

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