sabato 22 dicembre 2018

Facciamo finta che... Natale 2108

Ma tu ci sei o ci fai?

Siamo abituati a fare questa domanda agli altri ma forse è arrivato il momento di porla a noi stessi.
Senza girarci tanto intorno, quanto di quello che siamo e facciamo è davvero autentico? La questione non è nuova, lo so, ma in un'epoca di trionfo del fake è diventato urgente affrontarla.

Nei giorni che precedono il Natale basta girare per le strade o entrare nei negozi per vedere l'enorme tentativo collettivo di costruire l'apparenza di un mondo felice anche se finto, come il video del fuoco di un caminetto messo dentro al microonde. 
Riusciamo ancora a crederci, quello è l'aspetto paradossale: luci che pervadono ogni tenebra, il ben di Dio in bella mostra nelle vetrine, la gara per  accaparrarsi il pandoro Melegatti che ha una bellissima storia di rinascita da raccontare e ci fa sentire più buoni, i regali per tutti che -se gira qualche euro in più nelle tasche- possono anche essere cose di un certo prestigio seppur inutili, i ristoranti coi parcheggi strapieni, qualche film commovente di un povero che diventa ricco e le immancabili canzoni di Natale di Michael Buble. Non è una leggenda: a Natale ci sentiamo davvero più buoni e portati a non far caso a quelle fastidiose increspature che spiegazzano il quotidiano delle nostre relazioni personali e professionali.

Se per un mese all'anno tutto brilla di oro e di luce, alla fine viene da crederci: dai, con un po' di buona volontà possiamo davvero creare un mondo migliore e più felice. Certo, il pianeta è pieno di problemi irrisolvibili ma se stai lì a pensare sempre alle cose che non funzionano o gridano vendetta al cospetto di Dio, non si vive più!

E allora, come cantava Ombretta Colli nel 1975:

Facciamo finta che…
tutto va ben tutto va ben
facciamo finta che tutto va ben.

Che il povero sia in fondo un gran signore
che il servo stia assai meglio del padrone
che le persone anziane stian benone
che i giovani abbian sempre… un’occasione.


E quindi, Pozzan, cosa vuoi dirci? Che dovremmo andare in giro tristi per le sorti del mondo anche a Natale, come dei menagrami o peggio degli sfigati?!

No. Dico solo che alla fine io "ci fo". E che anche tu forse "ci fai" e che non dobbiamo raccontarci balle su questo. O se ce le raccontiamo, abbiamo almeno ben presente che sono balle.
Non lo sentiamo forse che questo fuoco non scalda davvero? Non abbiamo dentro di noi la netta sensazione che tutta questa enorme confusione ci lascerà vuoti come prima, con un bel po' di soldi in meno e qualche etto di panza in più?

Io voglio calore vero, quello che parte da dentro, e so come si fa per accenderlo: bisogna andare a bussare almeno a una delle porte che nel corso della nostra vita abbiamo chiuso o ci sono state chiuse in faccia. Dietro a quella porta ci sono persone che un tempo sono state per noi importanti e significative e poi -per le vicende della vita- sono uscite dai nostri contatti e sono diventate silenziosamente lontane, forse un po' ostili, in ogni caso dal lato opposto della porta chiusa.
Io quest'anno proverò a bussare a una di queste porte. Non so se ce la farò ma ci voglio provare. Non so neanche se quella porta si aprirà e come sarò accolto, ma lo scrivo qui perché il pensiero di essermi esposto con voi renderà più difficile la rinuncia.

Se volete, provate anche voi a bussare a una delle porte chiuse delle vostra vita. Sono convinto che se in tanti lo facessimo, avremmo un Natale davvero più luminoso e caldo.

Auguro a tutti di provarci. Auguro a tutti di "esserci". 






domenica 6 maggio 2018

FARE COME SE [...] NON CI FOSSE



Etsi deus non daretur
Nonostante l'origine di questa frase fosse diversa, io l'ho sempre collegata alle mie reminiscenze di studi teologici. Bonhoeffer, prendendo in prestito questo enunciato da un noto testo giuridico, voleva ricordare ai credenti che si dovrebbe agire -in quanto uomini e donne- "come se Dio non esistesse". Nelle sue intenzioni c'era la difesa dell'autonomia dell'uomo rispetto a una fede vista come sottomissione a regole certamente eteronome, in grado però di tenere la vita dentro a binari sicuri quanto limitanti. Un po' come le spondine che si usano per far giocare a Bowling anche i bambini.

Il buon Dietrich -per come l'avevo capito io, lo preciso nell'improbabile caso che a leggere queste righe sia qualcuno che ne sa davvero- invitava gli uomini e le donne a camminare senza il "girello" di una fede intesa come guida rassicurante e recinto entro il quale sentirsi "a posto". Insomma, sei davvero credente adulto se nella tua vita fai le cose che ritieni buone e giuste, a prescindere dal fatto che Dio, il "tuo" dio, esista o meno.

Ma quanti e quali sono i "girelli" che nella nostra vita ci danno l'impressione di camminare con le nostre gambe, e invece siamo sostenuti da altro, magari pure colorato e pieno di palline e aggeggi che fanno suoni divertenti?
Una di queste protesi della nostra identità felice è il ruolo. Ruolo professionale, ruolo familiare, ruolo sociale: fate voi il vostro elenco. Quanto della nostra vita è "sostenuto" e ha senso in virtù del fatto che siamo "quella cosa lì" per gli altri? Professore, avvocato, medico, tecnico, ingegnere, operatore del sociale, fannullone, super sportivo, prete, psicologo, maschio, madre, padre, figlio, figlia. Fate voi, appunto.
Ma io oggi pensavo all'amore.
Guardate che è dura "fare come se [l'amore, il tuo amore, quella persona lì] non esistesse".
Se ami tu vorresti che quella persona fosse il tutto, l'ovunque e il sempre. Vorresti plasmare la tua vita e le tue scelte sulla base di quella presenza così totale e totalizzante; e così inizi a lottare contro l'assenza.

E invece l'assenza è un alleato. Nell'assenza tu puoi saggiare l'equilibrio della tua esistenza "come se [...] non ci fosse", trovando delicati e agili compromessi con la forza di gravità, mentre cammini senza rete sul filo sospeso della vita. Allora il vuoto che a volte senti dentro può fare da cassa di risonanza per le note che il cuore ha iniziato a produrre, amplificandole e rimandandole a echi infiniti.
Così quando quello di cui stai cercando di "fare come se non ci fosse" si fa presenza, quel vuoto con cui hai imparato a fare i conti non si riempie, ma diventa ancora più ampio per accogliere nuove melodie e nuovi suoni, davvero altri e diversi dai nostri.
L'amore non ripara, non riempie la mancanza. L'amore è quello che succede quando hai imparato ad accogliere l'assenza, non dico a desiderarla ma a considerarla parte della tua vita: l'amore amplifica, cambia, trasforma, potenzia, stravolge... trasfigura. Non riempie. Non puntella. Non salva.

Prima però, bisogna provare a fare "come se non ci fosse". E a me non viene per niente bene!


venerdì 30 marzo 2018

Chi ama brucia - Pasqua 2018

"Lost in traslation" è il titolo di un bellissimo libro che un'amica mi ha regalato per il compleanno. Una raccolta di parole di varie lingue mondiali accomunate da una caratteristica: sono praticamente intraducibili, se non con una circonlocuzione, con un giro di parole più o meno lungo... Anche le illustrazioni sono stupende e aiutano a far emergere l'inespresso.

Una di queste parole è "WARMDUSCHER". I tedeschi la usano per indicare una persona che -metaforicamente- ama farsi solo una doccia tiepida, né troppo calda né troppo fredda; sono le persone iper prudenti, che non osano mai e se ne stanno rintanate nella loro area di confort. Magari si lamentano, ma neanche troppo. Principalmente dedicano gran parte della loro (scarsa) energia a ricercare le vie di minore resistenza per scorrere verso valle evitando il più possibile ostacoli, difficoltà e problemi. Di sfide non se ne parla: perché andare in cerca di rogne? Anche prendere posizione è rischioso, per cui il warmduscher diventa spesso un equilibrista delle opinioni vaghe oppure fa spallucce e dichiara con distacco il suo scarso interesse per l'argomento della contesa.
Un dubbio ogni tanto fa capolino, magari portato da una porta o una finestra che improvvisamente e imprevedibilmente gli si apre di fronte, ma viene subito avvolto nel domopack e riposto con una certa cura nel cassetto delle cose che avrebbero potuto succedere ma...

Non sono a conoscenza di studi che lo dimostrino, ma è molto probabile che il warmduscher  viva mediamente più a lungo di quelli che invece la doccia se la fanno caldissima e ogni tanto -quando serve- ghiacciata. Di quei tipi sempre insoddisfatti, che quando credono in qualcosa o vogliono raggiungere un obiettivo si buttano con tutti se stessi senza risparmio di energia. Tende a sopravvivere a coloro che si spendono e si spandono, rispondendo alle richieste che arrivano da ogni parte, e si fanno sollecitare dalla vita quando bussa alla porta col suo carico di inevitabili casini.
"Chi ama brucia" diceva una vecchia pubblicità, mentre scorrevano le immagini di una tennista che je dava con la racchetta sotto il sole. Non c'è niente da fare: l'intensità logora, la velocità consuma, il fuoco incenerisce per scaldare e se vuoi il succo dolce e aspro di un agrume, lo devi spremere.
Lo sapete di cosa sto parlando. Voi che avete figli e figlie, voi che almeno una volta nella vita avete ceduto all'amore folle e totale, voi che avete fatto quella scelta anche se tutti vi dicevano di lasciar perdere, voi che anche in salita spingete coi polpacci e in discesa con gli sci sapete cosa vuol dire "mollarli". Ma lo sapevamo tutti noi, indistintamente, quando da piccoli per imparare a camminare siamo finiti mille volte con la faccia a terra e poi pianti e poi di nuovo a provarci; lo sapevamo tutti noi quando con la bicicletta senza freni prendevamo la discesa a rotta di collo e ci alzavamo con le ginocchia infuocate e le lacrime trattenute. È che poi, per qualche ragione, abbiamo iniziato a farci docce tiepide.

Allora perché bruciare? Perché darsi da fare senza risparmio? Non sarebbe meglio procedere con l'acceleratore un po' alzato e risparmiare carburante?

Forse, dico forse, la Pasqua potrebbe darci una risposta.
Forse, dico forse, ci insegna che se non muori a quello che sei non puoi rinascere a vita nuova.
Forse, dico forse, la Pasqua ci racconta che se non facciamo mai un salto nel buio e non accettiamo il rischio di sbagliare (e perfino di fallire) la nostra vita certo si prolungherà, ma cedendo all'entropia diventerà sempre più indifferenziata, piatta e incapace di riscaldare il nostro cuore e quello degli altri con il calore delle cose che hanno un senso.

Buona Pasqua a tutti.





I contenuti di questo post si intendono rivolti ad ambo i sessi e senza distinzione di razza, cultura, religione o nazionalità :-)

lunedì 22 gennaio 2018

ALBANESE, LA TEORIA DEI TUBI e i RADICAL CHIC.

Adoro Albanese fin da quando interpretava Epifanio con la Gialappa's a Mai dire goal.
Ho appena visto l'ultimo suo film, "Come un gatto in tangenziale", dove è a fianco della Cortellesi in versione coatta. 
Vedetevelo se volete, ma a me interessa il fatto che tocca quel fenomeno sociologico che io ho cercato di definire come "teoria dei tubi" e con il quale ho fracassato i maroni a parecchie mie conoscenze.

Per spiegarla in breve: ognuno di noi vive dentro a un "tubo", dove incontra e ha scambi reali prevalentemente persone che appartengono al suo "mondo". Magari ci capita di frequentare gli stessi luoghi di tutti gli abitanti degli altri tubi, ma in orari e con modalità diverse.  Per capirci, al supermercato io ci vado alle 19,30 e finisco per incrociare tutti quelli che hanno vite simili alla mia; se ci andassi alle 10 di mattina o alle 17,30 incrocerei anche persone dentro a tubi diversi, anche se probabilmente le rispettive note della spesa ci farebbero comunque fare percorsi diversi lungo le corsie e io poi sceglierei le casse automatiche.  

La prima volta in cui mi sono reso conto di questo fenomeno in modo palese è stato molti anni fa, quando sono entrato in un bar che frequentavo di solito ma ad un orario per me insolito: l'ho trovato pieno di persone completamente diverse, che hanno creato un'atmosfera completamente diversa da quella a cui ero abituato, fatta di parole, toni di voce, abiti e consumazioni. Mi sembrava di essere in un posto del tutto diverso e ho provato un forte senso di estraneità.
Viaggiando per gran parte del tempo dentro al nostro tubo. dei mondi a noi "periferici" o "altri" finiamo spesso per avere un'idea stereotipata, sia in positivo sia in negativo e probabilmente lontana dalla realtà. Magari, come nel caso del personaggio interpretato da Antonio Albanese, ci occupiamo per lavoro di quelle persone e facciamo progetti che pensiamo utili per aiutarle o studiamo strategie per vendere loro prodotti. Ma poiché li guardiamo da dentro al nostro tubo, è come se stessimo parlando di ologrammi e non di persone e situazioni concrete e viventi.

Queste "visioni del mondo" (quella che abbiamo del nostro tubo e di quello degli altri) si infrangono o entrano in crisi quando -magari per i casi della vita- ci troviamo nostro malgrado a vivere per un po' di tempo dentro a un tubo diverso. Un po' come nei film americani degli anni '80 e '90, nei quali il protagonista sbagliava svincolo della superstrada a 8 corsie e finiva in un quartiere malfamato, dove le regole della civile convivenza erano sostituite dalla legge della strada e la sua presenza era osservata e a volte risolta come invasione di un corpo estraneo.

Non so se sono riuscito a spiegarmi. Comunque il film prende per il culo la cultura dei radical chic, che dalla loro bolla piena di accoglienza e nutrita da raffinate frequentazioni intellettuali, guidando auto ibride (come la mia) parlano di contaminazione senza mai aver veramente vissuto dentro il tubo di quelle persone, che per loro sono niente più che una "buona causa" di cui parlare nei convegni. Guai però a finire nel condominio insieme a "Gange", "Pollicino" e gli odori delle cucine etniche di tutto il globo.