lunedì 15 dicembre 2014

Chi ce l'ha più lungo. (Elogio della misura)

La chiamano “sindrome da spogliatoio” e riguarda fondamentalmente i maschi. Almeno credo. Sembra cominci a serpeggiare sin dai primi anni della scuola elementare, quando inizia la pratica sportiva e con essa le abbondanti sudate e la puzza ai piedi. Probabilmente neppure si parlerebbe di questo problema se non ci fosse il bisogno di fare la doccia dopo l’attività fisica. O se se giocasse a scacchi, per dire.
Invece no. Gli sport che piacciono sono quelli in cui si suda e quando si suda si puzza, e quando si puzza si fa la doccia, e quando si fa la doccia tutti insieme si scopre la dura verità: non sono lunghi uguali.

I confronti cominciano a quell’età e non è che ci si limiti al colpo d’occhio. Si misura, si traduce in centimetri. Ci si vanta o ci si avvilisce, a seconda.
Crescendo gli ambiti della comparazione si fanno più ampi e differenziati. La scuola con i voti, la statura, i risultati sportivi, l’auto di papà, le ragazze, gli oggetti del desiderio, quante  macchinine hai o quanto prima completi l’album dei giocatori di calcio. Non ci si salva. Tutto si misura, tutto si compara e la classifica è spietata. “Quanto hai preso in matematica?”, “ma tu sei capace di arrivare al livello 7 del Nano Dragone?”, “guarda tuo cugino GianGianni: ha la media del 9 lui, e sta sempre a studiare”.
“Più di-”, “meno di-”, tu sei terzo, io penultimo, lui è primo. Non ci sono cazzi di discussione: c’è solo misurazione.

Poi un giorno leggi che le “misure non contano” (anche se ti chiedi come mai le donne ridacchiano mentre lo dicono) e soprattutto -finita la scuola- non c’è più nessuno che ti mette il voto o ti dice che non hai fatto abbastanza. Il lavoro è faticoso ma nessuno controlla più se hai studiato o meno. Lo sport è solo un passatempo, la doccia la fai per lo più da solo e dopo un po’ la panza ti toglie pure la visuale sull’antico oggetto del dubbio. Non si contano le calorie ingerite, nè tantomeno le birre bevute, non si misura il colesterolo, non si controlla la prontezza dei riflessi, non si verifica l’adeguatezza dei propri strumenti culturali o l’efficacia delle proprie funzioni mentali. Si vive, si procede, si consuma.

E’ bello liberarsi dall’incubo del metro e dei confronti. Ognuno cammini al proprio passo e fanculo l’ansia da prestazione. Via il cottimo dai criteri di remunerazione del lavoro, via i cronometri dalle linee di produzione, via i cartellini da timbrare, basta verifiche della prestazione: siamo adulti, per dio! E siamo liberi. 
Se poi da qualche parte i numeri risaltano fuori la prima cosa che s’ha da fare non è leggerli ma interpretarli. “Sì è vero, abbiamo perso il 12% ma in realtà il mercato ha perso il 17% quindi è come se avessimo guadagnato il 5%”. “Il nostro partito ha sostanzialmente tenuto le posizioni, se si tiene conto che nella precedente tornata c’era l’alleanza col partito “y” e soprattutto se ci si confronta con i risultati di cinque anni fa, quando il partito manco esisteva”. E tu prova a contraddirmi.

Va tutto bene, in questo collettivo oblìo della misura (mètron), finché non entra in gioco una parola rivoluzionaria, capace da sola di far evaporare l’illusione di poter procedere rallentando. Quella parola è “miglioramento”.
Se ad un certo punto della tua vita ti nasce l'esigenza o il desiderio di migliorare, ti diventa utilissimo, forse necessario, misurare.
Oh ma come è diverso: si riprende in mano il doppio decimetro [ok Rocco, tu prendi pure la stecca da 50], si tira un segno con la matita fin dove si arriva e poi si cerca di far meglio. Si misura con soddisfazione quel “di più” e si immagina dove potersi spingere un po’ più avanti, un po’ più in là (nel frattempo siamo usciti dalla metafora iniziale, si capisce vero?).

“Se corro 10 km in un’ora, perché mai dovrei cercare di correrli in 50 minuti?” E’ una domanda sana.
Tuttavia, se non misuri la tua prestazione attuale e non compi alcuno sforzo per migliorare, con elevata probabilità tra qualche mese quei 10 km ti richiederanno 1 ora e 5 minuti. E via così, secondo l’antica legge dell’inerzia.
Se invece ti metti nell’ottica di migliorare succederanno un sacco di cose, purché tu accetti di misurare: compiendo determinati allenamenti in determinate fasi e con determinate intensità il tuo corpo piano piano si abituerà alla fatica, riuscirà a convivere con il fiatone, aumenterà la sua efficacia meccanica e il suo rendimento energetico.

A me non piace misurare. A me non piace controllare.
Ma mi piace migliorare e mi piace star bene.
Per cui da oggi andrò katà mètron, “secondo misura”, come si addice ad ogni buon filosofo.



PS: per questo post sono debitore a Fortunata Pizzoferro e ai suoi metodici allenamenti nella corsa. Ieri mi ha contagiato e peggio per voi.

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