(Note a margine de “L’apparire del bello” di U. CURI)

La filosofia non si insegna, si fa. Per motivi a me ignoti (ma sembra per colpa di Aristotele, che onestamente non mi è mai stato simpatico) ad un certo momento la filosofia è diventata una “disciplina scolastica”.
All’incontro era presente anche Giovanni Gurisatti che insegna Filosofia Estetica all’Università di Padova. Io, filosofo non praticante, ero in mezzo a far scena.
Prendere un concetto, lavorarci “intorno” con lo sguardo della ragione e con lo slancio del cuore, scavare nell’etimo e nelle sfumature dei significati, analizzarne l’evoluzione partendo dal suo apparire nella storia del pensiero: questo (e non solo questo, ovviamente) è fare filosofia. Se poi questo scavo raggiunge gli ultimi 4 secoli prima di Cristo, dalle parti dell’antica Grecia, si hanno sempre delle meravigliose sorprese: è così che termini ovvii e scontati, che usiamo e sentiamo usare fin da bambini (come è appunto il caso della “bellezza” e del “bello”), s-velano angolature di significato ormai dimenticate ma non per questo meno ri-velatrici (notare il gioco "ti vedo e non ti vedo", tipico dei filosofi zuzzurelloni).
Non voglio fare un trattato, nè forse ho il tempo e la capacità di cucire il tutto in un gran discorso (che poi non servirebbe: basta leggere il libro no?!), per cui mi limiterò ad offrirvi un vassoio con tante “chicche”. Poi ognuno spizzicherà quel che vuole, tanto è tutto gratis.
Il concetto antico di “bello” è molto più ampio di quello a cui noi siamo abituati a pensare.
Soprattutto è impossibile pensarlo come una serie di “attributi” che rendono “bello” un oggetto.
Negli scritti storici di Tucidide o nella grande tragedia greca, prima ancora che nel pensiero dei filosofi, il termine “bello” include infatti sempre e necessariamente anche il "buono" e il “vero”. Bello per gli antichi è anche il "ben fatto", il "ben connesso" (quindi, è “bello” per definizione ogni network! - ndr) e infine “bello” è massimamente ciò che esprime “pienezza” e quindi “senso”: e, così intesa la bellezza, può essere bella anche la morte come compimento ultimo di una vita ben spesa.
“Bello” è soprattutto ciò che è capace di rimandare oltre a sé, che “chiama” verso qualcosa di più grande e difficile da afferrare. Un oggetto è bello se non fa fermare lo sguardo su di sé, se non soddisfa del tutto -pena la sazietà- ma alimenta l'appetito e spinge alla ricerca di una dimensione che lo supera per autenticità e pienezza.
La bellezza (e qui Platone trionfa) non è quindi uno “stato” ma un “percorso”, un “processo” che ci fa partire dal bagliore delle “cose” belle per arrivare (forse mai) all’idea di bellezza, invisibile agli occhi ma accessibile al pensiero (o al cuore, come direbbe il Piccolo Principe di Antonine de Saint-Exupéry - ndr).
“Se dirò all’attimo: sei così bello, fermati!...” (dal Faust di J.W. Goethe)
Mi ha molto affascinato anche il legame -chiarissimo per gli antichi e ben descritto da Curi- del "bello" con il Kairòs (letteralmente, “momento opportuno”, poeticamente “attimo fuggente”): la bellezza si illumina solo nel momento propizio, non è una condizione stabile. Appare come un bagliore e poi si eclissa. Riluce, ci “chiama” come una sirena e poi si immerge negli abissi.
Ciò che è veramente bello non si può fissare, nè possedere. E’ qualcosa che per essere colto richiede la giusta disposizione dell’animo e la giusta circostanza di tempo e spazio. Non solo, è qualcosa di mutevole, che evolve in modo imprevedibile e si manifesta all’improvviso (bravissimo Gurisatti ad evocare qui l’attimo immenso” di Nietzsche).Bella l’armonia frutto del contrasto tra opposti (Eraclito, citato a senso: cosa che posso permettermi in quanto filosofo non praticante).
In questo è sorprendente il parallelo con la concezione taoista della realtà come “unione degli opposti che si compenetrano”. Avete presente il simbolo del Tao, no? Qualcuna di voi ce l’avrà pure tatuato da qualche parte... Beh, a costo di sembrare “scolastico” può essere utile richiamare alcune caratteristiche di questa straordinaria rappresentazione della realtà:
- il tutto è dato dalla sintesi di due dimensioni opposte (il bianco/yang e il nero/ying)
- il confine tra le due dimensioni non è una retta ma una curva, che fa compenetrare una dimensione nell’altra e viceversa
- dentro da ognuna delle dimensioni, è contenuta una parte della dimensione opposta.
Per dirla con Gurisatti: il bello “eccede” a se stesso. Altrimenti non è vera bellezza.
Spero che in chi ha avuto la pazienza di leggermi fino in fondo siano nate altre mille domande e curiosità, o che magari una sottile inquietudine si sia infiltrata dentro agli schematismi poveri nei quali per necessità “economica” imprigioniamo i concetti e le nostre idee.
Questo è il lavoro del filosofo: una sorta di fisioterapista della mente, che cerca come può di impedire alle articolazioni del pensiero di irrigidirsi e di bloccarne il movimento.
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