Tutti pazzi per i Giardini di Adone
Il mito di Adone è presente con nomi diversi in molte culture del Mediterraneo. Nella versione ellenica, a noi più nota, il bellissimo Adone -di cui omettiamo la complicata genealogia- viene conteso tra Afrodite (dea della bellezza, dell’amore e della vitalità) e Persèfone (divinità del regno di Ade, simbolo di tenebra e morte), che alla fine se lo tengono a part-time stagionale tutte e due. Da questa doppia e ambigua appartenenza nascono ovviamente una serie di intricate vicende e tutto finisce a schifìo.
Nonostante l’esistenza travagliata e finita tutt’altro che bene, la bellezza di Adone, il suo essere nato da un albero di mirra (che prima era una donna ma si sa come andavano le cose nell’antica Grecia) e l’essere stato spupazzato da un gran pezzo di Dea come Afrodite, hanno finito per dare vita al rito dei Giardini di Adone. Nel mese di maggio (o di luglio, a seconda delle città) questi fresconi degli antichi greci prendevano delle conchiglie, le riempivano di terra e vi seminavano cereali e altre erbette da far crescere in gran fretta ed esporre a breve vita durante le Adonìe. Questi giardinetti improvvisati erano perfetto simbolo dell’entusiasmo primaverile, della gioia per la rinascita e della vitalità, ma al tempo stesso -seccando al sole in poco tempo- rappresentavano anche l’effimera consistenza di tutto ciò che è destinato a crescere in fretta e altrettanto in fretta ad appassire e morire.
Ora pensate a quante cose nella nostra vita somigliano a Giardini di Adone. Ad un livello superficiale e quasi banale, basta pensare a quante cose facciamo solo perché ci danno l’illusione di una gratificazione immediata, ma senza costrutto nè speranza. Lo chiamiamo sportivamente “cazzeggiare”, oppure “guardare la tv” o -per i più social- “curiosare in internet”; ma il risultato non cambia: è un fiorire di giardinetti celeste puffo che avvizziscono già a sera, dandoci la sensazione di aver vissuto per nulla anche questa ennesima giornata.
Ad un livello un po’ più profondo, i Giardini di Adone sono anche il simbolo di tutto ciò che iniziamo con grande baldanza ed entusiasmo -presi dall’ultima moda che si chiama Zumba ,che ha sostituito il Pilates, che ha rimpiazzato l’Aerobica ma somiglia al Latino-Americano solo che ci si diverte di più [questa era per il pubblico femminile]- per poi abbandonarlo non appena si presenta l’ulteriore trend o, più semplicemente, quando arriva la pioggia e il freddo e ad uscire la sera chi ci pensa più. Bravi anche noi uomini ad iniziare con grande piglio un’attività sportiva o un corso di inglese, cominciando già dal primo incontro ad elaborare la lista delle giustificazioni per salvare la faccia alle prime assenze [questa è per me]. Beh, intanto mi iscrivo, prendo la conchiglia e il terriccio, ci metto i semini e poi si vedrà.
Ma Adone non si ferma qui. Il suo fascino è ben più profondo, la sua avvenenza è tale da far uscire di testa una come Afrodite, vi ricordo, figuriamoci che effetto può fare su di noi! Ecco che il vero trionfo di Adone è il culto dell’apparenza, la scelta di vivere in superficie senza mai impegnarci in qualcosa che vada oltre l’orizzonte del risultato a breve e del ritorno immediato, il disimpegno sistematico mascherato da “vivere il presente” e portato avanti postando sui social le location trendy dei nostri spritz. Niente impegni duraturi, nessun investimento sulla sostanza frutto di impegno quotidiano: meglio uno spensierato uovo oggi, meglio capitalizzare subito il guadagno, meglio puntare sui gratta e vinci. Meglio affidarsi alla fortuna, per poi lamentarsi del fatto che è bendata.
Invece la natura ci dice che le cose non funzionano così. La festa di Adone era festa di vita e di morte insieme: viva la primavera! Muoia la primavera e lasci il posto all’estate! Muoia l’estate e lasci il posto all’autunno. Muoia l’autunno e lasci il posto all’inverno. Il fiore di primavera si trasforma in frutto. Se il frutto non cade in terra, il seme non attecchisce. Se il seme non muore al suo essere seme, non diventa albero e poi fiore e poi di nuovo frutto (questa non è originale, lo so). Tutto quello che ha valore richiede tempo e pazienza: ci vuole un giorno per far crescere un fungo, qualche giorno per far nascere l’erbetta ma ci vogliono cento anni per un ulivo forte. Ma noi no: l’ulivo nel nostro giardino lo piantiamo già cresciuto e con le fronde sagomate, mica possiamo rischiare che ne godano solo i nostri nipoti! La fatica che la facciano gli altri.
E’ sempre una questione di scelta, tra il Sì e il No, tra l’impegno e l’ignavia, tra la vita e il lasciarsi piano piano andare. Eppure, l’unica speranza di trasformare la nostra esistenza da luogo deserto e battuto dal vento in una valle rigogliosa é quella che nasce dal piantare alberi ogni giorno, contro il buon senso e contro la derisione altrui. Come l’uomo saggio del meraviglioso racconto di Jean Giono.
Nessun commento:
Posta un commento