Povero Immanuel. Ha passato una vita a scandagliare i fondali dell'umana capacità di conoscere, a contare i nodi della cordicella che scende nei fondali limpidi della Ragion Pura e a tentare di stabilire un difficile limite alla Ragion Pratica. Non si è arreso neppure di fronte al Giudizio estetico, ovvero a quella che appare a noi filosofi non-praticanti come la più vaporosa delle forme di conoscenza. Eppure anche il buon Immanuel, metodico al punto che si racconta che i suoi compaesani di Konigsberg regolassero l'orologio al suo comparire nella quotidiana passeggiata, apriva cuore e braccia all'ammirazione di fronte alle due cose più immense e certe: "il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me".Insomma, chi tra voi ha visto il cielo notturno in una zona desertica sa cosa si intende tecnicamente con l'espressione "uno smerdaro di stelle". Non è che qualcuno te lo deve spiegare: fermi il passo (ché se vedi le stelle è perché quaggiù è buio pesto e rischi di azzopparti), alzi la testa e guardi il firmamento con la bocca semiaperta nella tipica espressione della meraviglia. Il buon Immanuel, con la sua proverbiale semplicità, diceva che questa esperienza "estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile". Vabbè, ci siamo capiti: nella vita hai mille casini e poche certezze. Una di queste è il cielo stellato.
Questa meravigliosa illusione, cioè l'interiore sicurezza che quello che vedi nel cielo è quello che veramente è (non come quando guardi gli altri esseri umani e non ne capisci una mazza), dura fintanto che non partecipi ad una serata astronomica.
Io non so quale sia la Mission dei ricercatori di astronomia, ma credo sia molto vicina a quella di chi si sente in dovere di dirti troppo presto che Babbo Natale non esiste. Una settimana fa ho partecipato con le mie due figlie ad un evento divulgativo presso l'Osservatorio Astronomico dell'Università di Padova ad Asiago. Vi risparmio le dettagliate spiegazioni tecniche su come funziona il controllo remoto dei telescopi, mi interessa parlarvi di alcune cose ovvie dal punto di vista di chi se ne intende di questa disciplina, ma piene di conseguenze dal punto di vista del pensiero di noi bipedi terrestri.
La prima cosa che capisci ascoltando un astronomo è che quello che vedi osservando il cielo (ad occhi nudi o con un potente telescopio) non è quello che in questo esatto momento è o accade. Mi spiego meglio, senza entrare nei meandri della relatività dei concetti di spazio e tempo: tu sei lì bello bello con la testa alta, guardi le stelle e dici: "che bel cielo c'è stasera". Stasera 'na mazza! Quello che vedi, bel bambino, è lo stato di quelle stelle al momento in cui la luce è partita per arrivare fino a te. Quindi quello che tu vedi in questo istante e in modo contemporaneo è quello che è successo 60 anni fa nella stella distante 60 anni luce, 136 anni fa in quella distante 136 anni luce, in quella che pare tanto vicina perché è grande e luminosa invece 468 anni fa. In questo esatto momento una di quelle stelle potrebbe essersi trasformata in una supernova o in una nana rossa, ma probabilmente se ne accorgeranno solo i tuoi posteri.
Tuttavia le certezze ereditate dal povero Kant che sicuramente è là vicino al buon Dio che si batte la fronte e continua a ripetersi "maremma bu'aiola lo dicevo io che c'avevo lo scandaglio troppo piccolo", si infrangono definitivamente quando il giovane ricercatore ti confessa che quello che vediamo e di cui pensiamo di conoscere qualcosina è solo il 4% dell'intero Universo e che di fenomeni come l'antimateria e l'energia oscura conosciamo poco o nulla e... (a questo punto mi sono addormentato e non so bene cosa abbia detto ancora).
Insomma, non ci si può fidare neanche del cielo stellato sopra di noi. Figuriamoci della legge morale dentro di noi!
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