Di tutte le condizioni metereologiche, ce n'è un
paio di cui non è così immediato il senso. La pioggia è essenziale alla vita,
la neve pure e ci si può anche sciare sopra, addirittura il vento in certe
giornate lo capisci, con la sua capacità di far piazza pulita nel cielo, di
spingere una vela o ancora di farti vedere panorami mozzafiato. Ma la grandine
e la nebbia a cosa servono? Non mi sto chiedendo come o in quali condizioni si
formano, ma che funzione hanno nella visione antropocentrica dell'universo che
-ci piaccia o no- ancor oggi ci appartiene.Della grandine parleremo in altre occasioni, perché è la nebbia che mi ha ispirato questa riflessione. Ci pensavo domenica scorsa, salendo con gli sci una piccola cima del gruppo del Lagorai, in un paesaggio lattiginoso dove il confine tra il bianco della neve e quello della nebbia sembrava non esistere. Che strana sensazione: non vedi dove stai andando, non vedi la meta, non vedi il punto da cui sei partito. E non vedi il paesaggio. Ma che senso ha allora andare, proseguire, con la nebbia? Che se viaggi in auto è pure pericoloso, ma lasciamo stare le condizioni della modernità: mi interessa la nebbia in relazione al camminare.
E mettendo uno sci davanti all'altro, seguendo la traccia di chi mi aveva preceduto, ho capito una prima cosa. La nebbia ti costringe a guardare dove metti i piedi, ti focalizza sul qui e ora perché esclude tutto il resto. Quando c'è nebbia è inutile ragionare sulle prospettive lunghe: si è tutti concentrati nel presente fisico e si impara l'arte di temporeggiare. Sì temporeggiare, prendere tempo, procedere con prudenza, fermarsi all'occorrenza: tutto il contrario di quello che consigliano i guru della gestione efficace del tempo o i profeti dell'alta velocità competitiva.
Perché capitano nella vita i periodi di nebbia. Non so se ve l'hanno detto, ma capitano. Momenti in cui non ci capisci granché un po' in tutti gli ambiti della vita: quelli che se vai da un astrologo a farti predire "amore, salute e denaro" ti risponde "non pervenuto", come appunto avveniva nelle vecchie previsioni del tempo quando da una località non giungevano in tempo le informazioni sulle condizioni meteorologiche. Non vedi chiaro, non capisci, non percepisci prospettive di soluzione alle situazioni critiche in cui ti trovi; le stesse relazioni fondamentali sono opache o in stallo. Questa e' la nebbia.
E allora che si fa? Stai lì a chiederti come mai si e' formata, o come sia successo che ci sei finito dentro? Abbastanza inutile, converrete con me. Meglio rallentare innanzitutto. Ridurre la velocità, il ritmo, l'intensità del fare e -perché no- del pensare, e procedere piano guardando ad un palmo dal proprio naso. Fai un passo, vedi un po' più in là, fai un altro passo e scorgi un riferimento. Ti confondi, non è quello che pensavi, e procedi guardandoti sempre le punte delle scarpe. Ah sì, non l'ho detto: la nebbia è una esperienza solitaria. E' vero che puoi seguire uno davanti a te che fa da "pesce" (si dice così nel gergo degli automobilisti) ma l'esperienza della scarsa visibilità è tendenzialmente interiore e singola, e se quello davanti va troppo forte tu finisci per lasciarlo andare e preferire un'andatura compatibile col tuo rapporto con l'assenza di visibilità.
Poi, a forza di andare avanti, arrivi al limite del banco. Questo è ancora più vero se stai salendo in quota. La nebbia e' stratificata: o è a monte o è a valle; per cui ad un certo punto cominci a veder filtrare il giallo del sole. Certo: il sole! Perché la nebbia viene con l'alta pressione, mica con la bassa pressione umida e nebulosa! E questa è un'altra utile metafora per la nostra vita: i periodi in cui siamo persi nella nebbia sono quelli in cui il cielo sopra di noi è sgombro da nubi e perturbazioni e manca pure il vento. Solo che evidentemente noi finiremmo per dare per scontato tutto, se ogni tanto non ci venisse sottratto alla visione.
E allora anch’io aspetto, camminando piano, che torni azzurro il cielo.
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