Lo chiamava minestrone, ma in realtà quello che
faceva mia mamma era un passato di verdure. Non c'erano insomma i pezzetti di
patate, carote, fagioli, sedano ecc., ma tutto veniva tritato nel passaverdura per
ottenere una densa e uniforme zuppa, il cui colore poteva virare dal marrone
scuro al terra di Siena, a seconda del prevalere dell'uno o dell'altro
ingrediente.
Non mi piaceva, ma non e'
questo il punto. L'immagine che mi è tornata in mente in queste settimane di
grande fermento è quella della pentola dove mia mamma preparava il suo
"minestrone": io sono seduto sul tavolo della cucina e faccio i
compiti, sul fornello bolle l'acqua con dentro le verdure e il vapore appanna
tutti i vetri delle grandi finestre della cucina. Dentro la pentola, visto che poi
comunque sarebbero state passate, le singole verdure sono intere o tagliate
solo in due o tre pezzi e sobbalzano in continuazione salendo, scendendo e
cozzando tra loro nel turbine provocato dall'ebollizione.
Esattamente così. In un momento di cambiamento importante tutti gli ingredienti del problema e delle soluzioni, del vecchio e del nuovo, sono immersi nello stesso liquido e si muovono vorticosamente e in modo apparentemente casuale e conflittuale.
Non ci si può mica fare niente. Bisogna lasciarli essere in questa compresenza dinamica e un po' stressante, anche per un tempo lungo. Diversamente gli estratti dei vari ingredienti non si mescolano e non si integrano, formando qualcosa di nuovo che sia più della somma delle parti. La trasformazione in gioco infatti non è fisica (reversibile) ma chimica (irreversibile).
La tentazione di intervenire, separare, accelerare questo processo è fortissima. In alcuni momenti questa commistione di cose vecchie e nuove risulta quasi insopportabile: è in quei precisi momenti che entra in gioco quella che chiamiamo "resilienza". In un recente articolo su Repubblica, Federico Rampini definiva questa proprietà -tipica dei metalli ma per esteso applicata alle persone, alle organizzazioni e alla società - come la capacità di rigenerarsi e riacquistare le proprie caratteristiche, dopo e nonostante esse siano state modificate o stravolte da un evento esterno.
Senza scomodare i grandi del giornalismo o i guru del miglioramento personale, direi che la resilienza potrebbe essere definita da un filosofo non praticante come la capacità di "stare" nelle situazioni, di reggere tensioni e incertezze fino al punto in cui -per una serie di circostanze interiori ed esterne- il processo di trasformazione chimica non sarà compiuto. Allora –e solo allora- si potrà versare tutto il contenuto della pentola nel passaverdura e ottenere finalmente un risultato nuovo, che avrà in più lo straordinario pregio di recuperare anche quanto di meglio c'era nel vecchio.
Poi, una volta versato e assaggiato, se ci va chiamiamolo pure minestrone.
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