lunedì 26 dicembre 2022

IN BILICO - Natale 2022

 



Lui è Pablo e dove lo metti sta.

Il suo autore si chiama Franco Mastrovita, di passione burattinaio e pura anima di artista. 


Pablo, nel suo essere apparentemente elementare, ha una caratteristica sorprendente: può stare in equilibrio su qualsiasi cosa, anche sulla lama di un rasoio. E non sta fermo: oscilla! Barcolla pericolosamente ma non molla, tentenna e si inclina fino al limite per poi raddrizzarsi e ribaltarsi sul lato opposto, rallentando il suo moto fino a fermarsi, spesso fuori perpendicolo. 

Pablo danza, in bilico sull’orlo del caos, alla ricerca di un equilibrio precario che trova immancabilmente. Mi ricorda la mia istruttrice di yoga quando, plasmando il corpo negli Asana più contorti e per me dolorosissimi da mantenere, diceva con naturalezza “e… sto”. Anche Pablo, tra pesi e contrappesi, alla fine sta.


A noi piacerebbe essere come Pablo, capaci di danzare in questa complessità volatile e incerta. Sì perché la nostra quotidianità somiglia sempre di più a quei videogiochi di fine anni ‘90, con i mostri che sbucano all’improvviso da ogni dove. Eventi drammatici si susseguono e si sovrappongono, mentre i loro impatti generano onde d’urto che travolgono l’umanità a tutte le latitudini. Non so come sia la visuale dalle cabine di comando dei colossi del digitale, che navigano in questo mare inquieto con i loro piroscafi inaffondabili (eh, eh… questa l’avevo già sentita!), ma a noi che beccheggiamo su piccole imbarcazioni stare a galla sembra dannatamente difficile. 

Abbiamo una rotta, e questo è già qualcosa, ma non abbiamo idea di cosa potremmo incontrare lungo il nostro percorso: nuove insidie, carenza di risorse essenziali, costi improvvisamente proibitivi, nemici che prima non sospettavamo e abbandono di ogni solidarietà tra pari. Si procede, ma con grande dispendio di forze e con lo spirito un po’ appesantito da questa tensione verso obiettivi spesso ridimensionati.

La vita in questi anni venti del nuovo millennio sembra ispirarsi al viaggio di Odisseo, strapazzato da venti avversi e in balìa di divinità incazzate e vendicative. A pensarci bene, grazie a questo percorso a zig-zag, sono anche tempi ricchi di esperienze, nuove consapevolezze e occasioni di crescita: proprio come l’eroe di Itaca, il nostro rocambolesco ritorno a casa ci mette a contatto con nemici sanguinari ma anche con popoli ospitali e generosi, stimola il nostro ingegno per vincere la forza bruta di un semidio monocolo o gli inganni di una dea esperta di arti magiche, aumenta la nostra conoscenza del reale e ci spinge ai confini del mondo noto. Che avventura: muoiono quasi tutti ma sai quante cose impari!!


Allora io torno ad ammirare Pablo e mi chiedo cosa potrebbe insegnarci, col suo dondolare sempre in bilico e la sua espressione un po’ così…

In primis a non temere il movimento, né le forze contrapposte che lo generano. A non preoccuparsi del punto di appoggio, delle sicurezze sulle quali fondare il nostro benessere: basta poco, lo schienale di una sedia, lo spigolo del tavolo, il filo di un coltello… e un po’ di vuoto intorno. Eh sì, perché senza il vuoto Pablo non può oscillare e se non oscilla non può cercare pazientemente il suo equilibrio miracoloso.

E poi Pablo non è perfetto, né assolutamente simmetrico, né super dotato, né magico, né costruito con superleghe e nanotecnologie, né frutto di simulazioni matematiche. È fatto di legno, fil di ferro, piombo e ingegno.


Lui è Pablo e dove lo metti sta.

Pablo siamo noi.


Buon Natale a tutti!


Andrea Pozzan



domenica 17 aprile 2022

IL TERZO GIORNO - Pasqua 2022

“Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte”.

Così recita il Symbolum apostolico, il “Credo” che -almeno nella nostra infanzia- tutti noi abbiamo recitato e che racchiude il nucleo della fede cristiana. 


Questa formula ha attraversato indenne i secoli, si è trasmessa per via orale e poi scritta, è passata al vaglio di Concilii e riforme: in essa niente è casuale, neanche la punteggiatura.

Non oso entrare in argomenti teologici e religiosi, non ne avrei la capacità né troverei opportuno il contesto. Da buon filosofo dilettante, mi soffermerò solo su due dettagli: i punti e virgola e il terzo giorno.


Mi ha sempre colpito il modo fulmineo in cui la prima parte della narrazione sa percorrere la cosiddetta “Passione” di Gesù di Nazareth: quattro verbi e un riferimento al povero Ponzio Pilato, che se non altro ha avuto il merito di ricordare a tutti l’importanza di lavarsi le mani, ed è tutto finito.
Nessuna concessione allo Storytelling, di cui invece abbonda la narrazione dei vangeli: solo l’asciutta cronaca della dolorosa fine di un giusto, vittima dell’ingiustizia del suo popolo, con la complicità passiva dei suoi oppressori. 


Poi le virgole lasciano il posto a due punti e virgola. Nel mezzo, la discesa agli inferi.

Si rompe la continuità, si crea una parentesi e si sprofonda in un’altra dimensione. È il regno sotterraneo, dove tutto è rovesciato e domina la morte, la negazione di ogni senso. È il silenzio dell’incomunicabilità contrapposto alla parola che connette, il buio che si oppone alla luce, la passività senza speranza che fa da ombra all’energia creativa e dirompente della vita. Non si sta bene in mezzo a questa parentesi. Proprio no. Lo dicono tutte le fibre della nostra anima.


Ma arriva la terza parte di questa narrazione. Terzia die (si capisce senza tradurre, no?): all’alba la tomba è vuota, una luce accecante torna a invadere la scena. 

È la Pasqua, il nuovo inizio, l’alba bianca dopo il nero inchiostro della notte, la resurrezione alla vita dopo l’angoscia sanguinante dell’orto degli ulivi.


Anche un supereroe come Gesù ha dovuto attraversare la drammatica vicenda dell’annientamento e ha dovuto attendere i tempi della rinascita. O forse ha voluto mostrare definitivamente alle nostre teste dure la verità che tutti i riti ancestrali del passaggio avevano già intuito: la vita nuova, il rinnovamento, il cambiamento profondo, le energie potenti della natura si generano solo dalla rottura dell’armonia.


Viviamo momenti drammatici, pieni di minacce e contrapposizioni apparentemente insanabili, ma noi crediamo che questo tempo racchiuso tra due punti e virgola finirà e da questa turbolenza dolorosa nasceranno un nuovo equilibrio e nuove spinte vitali.


Nel mezzo, facciamo del nostro meglio e aspettiamo, fiduciosi, il terzo giorno!



Andrea Pozzan


lunedì 3 gennaio 2022

E VISSERO FELICI E IMPERFETTI... - Natale 2021

 

“C’era una volta, in un regno molto molto lontano…”


Se tante favole iniziano così, facendoci volteggiare in una dimensione appena tratteggiata del tempo e dello spazio, un motivo ci sarà. E per scoprirlo basta aspettare la fine del racconto, dove a titillare i nostri sogni di bambini troveremo il più celebre degli epiloghi: “e vissero per sempre felici e contenti”.


Insomma, il lieto fine dove “andrà tutto bene” c’è, ma si trova a latitudini spazio temporali vaghe e -in oggi caso- sempre “far far away” da dove ci troviamo noi. Tu coltiva pure l’illusione che, dopo tante fatiche e traversìe, ci sarà sempre la miracolosa composizione di quel puzzle disperato da 1 milione di pezzi che è la nostra vita quotidiana. Tu continua a sperare nell’evento miracoloso che darà una svolta decisiva alla tua vita, teletrasportandoti dalla prosa di un’esistenza piena di limitazioni verso la meritata felicità (che, non so come mai, ha spesso a che fare col conto in banca).

Ricordati però di quello che fa l’orco Shrek nell’omonimo cartoon di esordio, quando nel cesso fuori dalla sua stamberga legge la fatidica frase che conclude ogni fiaba: strappa la pagina sghignazzando e la usa per il meno nobile degli scopi per i quali è stata inventata la carta.

Le favole hanno una funzione straordinaria nell’età evolutiva. Vi confesso anche che a me personalmente piacciono da morire le illustrazioni che si trovano nelle edizioni per bambini: passerei ore in libreria solo a guardare i disegni, senza leggere una sola parola. 

È bello e utile interiorizzare “il viaggio dell’eroe”. Eroe spesso improbabile, mai fortunato, che sa cogliere lungo il cammino tante piccole cose che lo aiuteranno al momento decisivo a raggiungere il suo scopo, che quasi sempre è liberare una principessa prigioniera -se gli va bene- di un drago e sennò di uno psicopatico che condensa in sé tutto il male del mondo, in modo che lo si possa poi epurare con un solo colpo di spada.

Però poi si cresce, subentra un po’ di malizia e soprattutto di disillusione. Si comincia a sospettare che, dopo il finale in cui Cenerentola e il Principe si allontanano "felici e contenti" in carrozza, qualche piatto prima o poi se lo siano tirato addosso. Soprattutto ci si rende conto che quello che vale per i prìncipi e le principesse non è detto sia altrettanto valido per la gente comune. Peggio, si viene pure a sapere che anche i prìncipi sono frustrati e le principesse possono essere tristi e morire giovani. Ecco quindi spuntare i fiori del male: la rassegnazione, la negatività che contamina di nero ogni cosa, il pessimismo o peggio ancora il cinismo più spudorato.

Poiché non si riesce più a mettere insieme i sogni, i desideri e la realtà, ci si arrabbia col destino e si adotta una gamma di comportamenti disadattati che portano ancora più lontano (far far away) dalla pur sempre agognata felicità.

Di solito a questo punto, abbandonati alla polvere i libri di fiabe, arriva qualcuno che ti annuncia che non tutto è perduto, che i sogni possono davvero trasformarsi in realtà, basta cambiare i propri pensieri e crederci fino in fondo. Ovvio, potrebbe servire un aiutino sotto forma di saggio, convention X-qualcosa, contenuto multimediale a pagamento, consulenza personalizzata su come si fa a vivere bene: ma vuoi davvero spilorciare sulla tua felicità?!

E siccome siamo un popolo “di dura cervìce” (lo dicevano già le Sacre Scritture), bisogna stimolare la visualizzazione, creare immagini mentali di felicità e successo, tornare a titillare i nostri sogni bambini di felicità incondizionata. E così succede che, grazie al social media marketing, tutti i nostri device siano bersagliati dai racconti di guru, maestri di vita, influencer e altri abili cantastorie che ci aiutano a credere di nuovo a un happy end adulto e possibile. Che arriva per 1 persona su 10.000, a essere ottimisti e con buona pace di Gianni Morandi & Co.

Per questo l’emozione che statisticamente è più diffusa tra noi privilegiati abitanti della terra, intendo quell’1% che controlla il 50% delle risorse del pianeta, sembra essere la frustrazione, che va a braccetto con la rabbia, l’intolleranza e la paura. Poiché non possiamo realizzare il mondo dei sogni, dove tutte le tessere del puzzle sono al loro posto, ci incazziamo con tutti e diamo vita a bipolarismi manichei dove chi non la pensa come noi è un gran figlio di Cenerentola (ah non lo sapevate che Cenerentola… vabbè, non vi spoilererò il sequel).

Eppure…

Eppure la natura e la stessa nostra esistenza ci insegnano che la bellezza non ha quasi mai a che fare con la perfezione. È bello lo sciabordìo delle onde di un mare calmo sui finissimi ciottoli di una cala in Sardegna, ma è straordinariamente bella anche un’onda tremenda di 100 metri nelle coste portoghesi dell’oceano. È bella la crepa che spacca la roccia di una montagna, sono belli gli occhi dal colore dispari di un Husky, è bella la spaziatura tra i denti di Vanessa Paradis ed è bello pure il naso importante di Gérard Depardieu.

Forse, e dico forse, il segreto della felicità è qualcosa di simile all’accettazione dell’imperfezione. 

Riuscire a essere sereni rispetto al fatto che il limite ci appartiene costitutivamente, che l’imperfezione è un ingrediente indissolubile della nostra vita e della nostra esperienza del mondo, è forse, e dico forse, la condizione necessaria anche se non sufficiente per essere un po’ più rilassati e tolleranti. 

Gustiamoci la rosa con le spine, la noce dentro al gheriglio ostico, il pizzicorìo forte al naso quando mangi la mostarda veneta e amiamo senza “se” e senza “ma” quegli esseri umani che le nostre scelte ci hanno messo a fianco e anche quelli con i quali abbiamo cozzato nelle nostre orbite probabilistiche. 

Noi imperfetti, gli altri imperfetti, il mondo imperfetto: tutto quadra, non ci dobbiamo per forza accanire. Possiamo riposare un po’: tra Natale e l’Epifania il mondo ce la farà anche senza di noi.


Buon Natale, esseri meravigliosamente imperfetti


Andrea Pozzan

Filosofo non praticante