I sensi sono la nostra finestra sul mondo.
Nihil est in intellectu quid prius non fuerit in sensu diceva San Tommaso: non c’è niente nella nostra zucca che prima non sia stato veicolato e filtrato dai nostri sensi.
L’idea che abbiamo del mondo, degli altri e anche di noi stessi parte dal semilavorato complesso prodotto da una sofisticata e meravigliosa tecnologia, che registra e scambia dati ogni millisecondo con la realtà circostante: i nostri sensi, appunto. Poi di questo semilavorato se ne fa di ogni, grazie a stati emotivi, automatismi di giudizio, valutazioni, interpretazioni, integrazioni di dati mancanti, fantasie, credenze, vissuti più o meno positivi… e così torniamo indietro ad Aristotele (di cui il buon Tommaso era fan sfegatato) e al suo “quidquid recipitur in modum recipientis recipitur”: come l’acqua prende la forma del recipiente in cui viene versata, così quello che viene più o meno fedelmente registrato dai nostri sensi assume inevitabilmente la forma della nostra peculiare soggettività.
Il senso in assoluto più utilizzato (e forse sopravvalutato) nella nostra cultura occidentale è sicuramente la vista. Avere una vision, speculare, avere occhio per le cose, vederci chiaro nelle situazione, guardare dentro a se stessi … Dio stesso è raffigurato spesso come un grande occhio (accompagnato dal minaccioso “Dio ti vede!”), neanche fosse la divinità dei Ciclopi!
Segue in classifica l’udito, che con tutto il parlare che facciamo è un senso socialmente indispensabile, tanto che chiudono i fornai e aprono i centri Amplifon: non riuscire a sentire le parole e perdersi parte delle conversazioni è vissuta giustamente come una vera e propria menomazione relazionale. Anche mia nonna è diventata sorda presto, ma ho sempre avuto l’impressione che in certe situazioni le andasse meglio così. Era un’altra generazione.
Vista e udito. Potremmo fermarci qui secondo qualcuno, perchè è tutto quello che sembra servire oggi nella migrazione di massa alle relazioni digitali, nelle quali tutti ci siamo riversati, chi obtorto collo, chi pieno di sollievo o addirittura di entusiasmo. Ma mancano all’appello gli altri tre sensi, e sono quelli che hanno bisogno ancora di misurarsi con il mondo fisico.
Il gusto a dire il vero è ancora di moda, fondamentalmente grazie a MasterChef e a Benedetta Rossi, che con i suoi tutorial di cucina ci ha salvato tutti durante il primo lockdown, quello vero, quello quasi bello. Assaggiamo, degustiamo, assaporiamo. Siamo diventati raffinati e riusciamo a distinguere cinquanta sfumature di gusto e una mezza dozzina di retrogusti in un piatto di lenticchie. Anche questo senso è diventato una sorta di terreno di rifugio, così almeno sembrano indicare i dati Nielsen sulla crescita dei consumi di comfort food e come impietosamente confermano le bilance di casa.
Nonostante in passato godesse di tutt’altro rispetto, l’olfatto ha ormai un ruolo quasi ancillare al gusto e si contende la parte bassa del ranking con il tatto, che pur coinvolge il nostro organo in assoluto più esteso, la pelle.
Ma c’è una cosa che di questi tempi rischiamo di dimenticare: olfatto e tatto hanno tanto a che fare con la “chimica” della relazione. Registrano in maniera anche inconsapevole una grande quantità di informazioni su come stiamo noi nei confronti degli altri e di come gli altri ci “sentono” nella relazione. Grazie a loro percepiamo affinità, segnali di allarme subconsci, informazioni qualitative di enorme importanza che ci aiutano a stabilire la corretta risposta da elaborare alla situazione specifica. Ci possiamo fidare? Siamo davanti a un essere amichevole od ostile? La persona a cui stringiamo la mano ci dà vibrazioni positive? Il suo odore, anche se non lo percepiamo, ci rassicura o ci mette a disagio? Quando i nostri corpi entrano in contatto, anche per pochi istanti, che reazioni si scatenano in noi e quanto queste influenzano l’esito della nostra interazione?
In decine di migliaia di anni gli esseri umani hanno sviluppato un complesso di rituali di incontro con i loro simili, che prevedono quasi sempre la vicinanza e il contatto, l’annusarsi e il tastarsi reciprocamente. È di questi gesti antichi che ora siamo improvvisamente rimasti orfani. Ci incontriamo per strada e in azienda, vorremmo avvicinarci, stringere le mani, dare pacche sulle spalle e abbracciarci. Sì, quel gesto stupendo nel quale mettiamo tutto il nostro corpo a contatto con l’altro e stringiamo, anche forte. E desideriamo anche baciarci, respirando involontariamente l’essenza dell’altro.
Vorremmo ma non possiamo. Vorremmo ma non dobbiamo.
Orfani del contatto, ci muoviamo disorientati e timorosi, inventando surrogati che non convincono nessuno.
Quest’anno saremo soli nelle nostre case, lontani dagli amici e perfino dai parenti, nel giorno in cui eravamo abituati a stringerci attorno alle persone più care.
Soli i nostri genitori anziani, che nel conto alla rovescia degli anni perdono un Natale prezioso.
Cosa è concesso agli orfani se non di piangere? E allora avviliamoci un po’: in un tempo nel quale essere positivi non è una bella cosa, abbiamo tutto il diritto di deprimerci!
E poi -come succede quando si perde l’uso di una facoltà- svilupperemo qualche nuova capacità che gradualmente ci aiuterà a colmare l’handicap: forse una ipersensibilità empatica, capace di cogliere sfumature nella voce e nel viso, anche se appiattite nel monitor di un computer. O forse diventeremo finalmente capaci di ascoltare con totale attenzione e concentrazione chi ci sta parlando, se non altro per superare i disturbi delle linee sovraccariche e il balbettìo dei segnali deboli di rete.
Quello che davvero non so, è se saremo capaci di superare la tristezza degli armadi e degli sgabuzzini che fanno da sfondo alle nostre videochiamate quotidiane!
Buon Natale, con un “tocco” di magia!

Non avevo ricevuto il tuo "messaggio di Natale" che mi aveva piacevolmente colpito in passato... poi, tra i post di LinkedIn sono atterrato qui dove sono dolcemente naufragato...
RispondiEliminaLeggerti, caro Andrea, è sempre istruttivo ed emozionante al tempo stesso.
Conoscerti è un privilegio.
Grazie per quello che semini e per il modo in cui lo fai...
Buone feste a te e ai tuoi cari.
Ciao,
Filippo