domenica 17 dicembre 2017

Le piccole cose - Natale 2017

Sto pensando al punto e virgola.

Forse
il suo è un destino simile a quello del congiuntivo nella lingua parlata; forse è anche messo peggio.
I
suoi colleghi della punteggiatura se la passano benone: il punto fermo, lo dice il nome, non si muove neanche morto. La virgola è messa ovunque, spesso a casaccio e impone le sue regole (dopo di me niente la “e”, gne gne gne ), le parentesi le ho appena usate e le virgolette si fanno pure con indice e medio delle due mani che fanno inchino. Punti di sospensione? Tre, quattro, mille chissenefrega; l’apostrofo lo mettono pure dopo “qual”. Il punto di domanda è appena meno famoso del cugino punto esclamativo, che poi è un prepotente e viene moltiplicato senza ritegno: “Che cariiiiiinooooo!!!!!!”. Esiste qualcosa di più insopportabile?!


Eppure, se il punto e virgola esiste, una funzione la dovrebbe avere! Un respiro un po’ più lungo, la chiusura di un pensiero dentro all’esposizione di un’idea più ampia, la fine di ognuna delle voci di un elenco puntato o numerato... Wikipedia cita addirittura il suo importante uso in certi linguaggi di programmazione.

Lascio subito il noioso terreno dell’ortografia perché il mio sguardo -grazie al punto e virgola- ha iniziato a vagare sulle tante altre piccole cose di cui ci stiamo dimenticando; sono angoli del paesaggio, oppure buone abitudini come il saluto, o ancora gesti un tempo quotidiani come il segno della croce o un abbraccio. Oggetti dimenticati, foto sbiadite di momenti felici, sguardi compassionevoli sul povero seduto vicino alla macchinetta per pagare il parcheggio; la condivisione di un pezzo di pane con l’amico seduto con te nella staccionata di legno o la gentilezza di far passare un pedone anche nella fretta delle otto meno dieci del mattino.

Rincorriamo grandi obiettivi, misuriamo il nostro successo con asticelle sempre più alte, diamo un’importanza sproporzionata a tutto quello che è appariscente e che sazia il bisogno di visibilità del nostro ego bulimico. Ci vestiamo di punti esclamativi, guidiamo punti esclamativi, pubblichiamo sui social le foto di noi mascherati da punti esclamativi!

Eppure in fondo in fondo lo sappiamo che -all’avanzare degli anni- sono proprio le piccole cose a dare sapore alla vita; forse sono loro il “pane quotidiano” che chiediamo (o chiedevamo, o abbiamo sentito chiedere) nel Padre Nostro. Dacci ogni giorno un granello di sale, una minuscola gioia nel cuore, una scintilla di luce negli occhi. Per favore, papà del cielo, non far spegnere la fiamma che ci tiene lontani dal grigio cinereo dei morti viventi; non permettere che scenda nei nostri pensieri la notte nera senza speranza di una vita senza significato. Fammele trovare le perle di cui è disseminato il cammino di ogni nostra giornata distratta, trasformale in palline colorate da mettere una alla volta, con la calma di altri tempi, nell’albero spelacchiato del nostro Natale di consumi.

Daniela, la mia insegnante di yoga, ha consegnato alla fine dell’ultima lezione dell’anno un piccolo dono a tutti. Un cioccolatino e una cordicella per tenere arrotolato il tappeto; nel biglietto che l’accompagnava c’era scritto:


“Non tutti possiamo fare grandi cose,

ma possiamo fare piccole cose con Grande Amore.”


Grazie Daniela. E buon Natale a tutti! 
; -)


L’immagine e qualche riflessione è nata anche grazie alla lettura di: http://www.giamai.com/2014/09/11/il-punto-e-virgola-secondo-adorno/

Grazie anche alle mie figlie Sara e Anna, che la mattina mentre le porto a scuola mi fanno sentire questa canzone: https://www.youtube.com/watch?v=JZroLpWR0os 

lunedì 9 ottobre 2017

Belli come dei pazzi

Già sposarsi è una pazzia. 

Un tempo no, forse: c'era un percorso quasi obbligato, con alla base una certa dose di calcolo e la spinta della necessità. Il resto era amore, se andava bene.
Oggi prima viene l'amore, finché dura. Mettere ai margini convenzioni e convenienze significa porre in primo piano la relazione di coppia, anche se l'arrivo dei figli qualche tema lo pone comunque.
E che ne è del calcolo e del buon senso? Trionfa ancor più dell'amore: ci si unisce finché qualcosa o qualcuno non ci separi.
La convivenza è il suggello di fatto dell'unione di coppia e nella stragrande maggioranza dei casi ormai è sufficiente (e anche comodo) così.

Perché quindi sposarsi oggi, se non per pazzia o per sottovalutazione del fenomeno?
A due miei carissimi amici però questa follia non bastava. Hanno voluto dare una gran pedata nel culo anche al buon senso, alla prudenza e soprattutto al calcolo. Tutto insieme.
Convivono da anni, hanno già due figli, decidono di sposarsi. Bello ma fin qui niente di davvero sorprendente.
Invitano un centinaio di persone tra amici e parenti. Anche qui c'è poco da raccontare.
A loro piacerebbe sposarsi in Sicilia: ah beh, allora le cose cambiano -dicono Buon senso e Calcolo, che non sono abituati a essere contraddetti- in tal caso è meglio separare la cerimonia dalla festa. "Si ma se facciamo così, quando dopo aver detto il Sì mi volterò, non vedrò nessuno!", dice la futura sposa.
“Allora portiamo tutti gli invitati in Sicilia con noi e passiamo con loro un intero week end: sarà una festa memorabile!”.
Chi ha parlato? Chi ha detto questa solennissima minchiata? (sono sempre Buon senso e Calcolo a parlare). “Io ho parlato!” dice la Follia, gli occhi che brillano di entusiasmo incosciente.
Portare giù in Sicilia 100 persone in aereo, ospitarle in un albergo (no, meglio in due posti diversi, di cui uno raggiungibile solo con il fuoristrada), celebrare il matrimonio in una riserva naturale (dove si arriva per l’appunto col furistrada o a piedi), portare con due pullman tutti gli invitati a visitare un po' di meraviglie in attesa di arrivare in un altro posto ancora, per far vivere a tutti un'esperienza che cancelli ogni precedente idea di festa nuziale. Magari il giorno dopo li si porta tutti al mare, che in Sicilia a Ottobre si fa ancora il bagno!
Questo è il piano della Follia.
Buon senso e Calcolo non possono credere ai loro orecchi. Si rifiutano di dedicare anche solo un neurone alla definizione di un piano così assurdo. Ma ormai la visione si è accesa e dentro i futuri sposi nasce la certezza di non avere in realtà altra possibilità se non realizzare l'incredibile piano della Follia.

E così inizia una preparazione lunga mesi, interpretata come la sceneggiatura di un film con due protagonisti e 100 comparse pagate. Ci sono i trailer, le anticipazioni, i rumors. C'è anche il regalo della Sfiga, che fa saltare un piano voli perfetto e costringe i due a ripianificare, ridistribuire e frammentare le tratte per tutti gli invitati. Colpa di Ryanair che in quelle settimane ha comprato a peso d'oro i voli per le isole, per far fronte alla fuga dei loro piloti, stufi di essere sfruttati e sottopagati.
Forse, questa entrata a gamba tesa della Sfiga ha provocato l'unico serio vacillamento nella decisione dei due sposi folli.
Ma, si diceva, Follia non torna indietro anzi, si alimenta delle difficoltà e spinge l’asticella ancora più in alto.

E così un venerdì sera siamo partiti. Dopo mezz'ora tutto l'aeroporto, addetti al servizio bar inclusi, sapeva di Follia -divenuta nel frattempo Collettiva- che stava iniziando a dar forma al suo piano perfetto.
Non vi racconto i dettagli di questa avventura, che gli sposi hanno voluto racchiudere dentro al riserbo desiderato per tutte le cose importanti, ma il piano della Follia si è rivelato così grandioso da permettere lo svelamento di una sua dimensione nascosta e da pochi considerata: la bellezza.
La Bellezza ha pervaso tutto e tutti ed era ovunque: nei luoghi, nella diversità delle persone, nella grande sintonia e nell'autenticità di tutti i momenti.
Tutto è stato spinto oltre, la miriade di piccole e grandi difficoltà organizzative è stata superata con la tenace pervicacia dei folli. Alla fine tutti sono volati verso casa, in quattro voli diversi e coi bagagli scompaginati, ma con tutti i sensi galvanizzati dalla centrifuga di emozioni di quei giorni e con il cuore pieno di gratitudine per gli sposi.

È vero, è stata una pazzia. Bellissima.

lunedì 14 agosto 2017

Cos'è quella cosa in mezzo al mare? El sarà un cocàl.

Due le risposte di Maurizio, skipper veneziano DOC, alla domanda "cos'è quell'oggetto in mezzo al mare?".
La prima, anche senza guardare, era "el sarà un cocàl" (un gabbiano -ndr). La seconda, se ci vedeva poco convinti" era: "el sarà un signàl" (un segnale, ma si capiva -ndr).
O cocàl o signàl. Terzius non datur.

Il segnale è un "coso" che dice "qualcosa". Non stiamo parlando della segnaletica marina ufficiale, ma di oggetti galleggianti non meglio identificati, distinguibili dai rifiuti per il fatto che sono fissi in un certo punto e non si spostano. Potrebbero indicare la rete di un pescatore, o qualcosa che sotto deve essere preservato dal passaggio di una imbarcazione. Non è importante: se è un signàl, ci devi girare largo, punto e basta. 
Il mare è per definizione un posto ampio e senza barriere, eppure la possibilità che proprio lì di vada a passare è più elevata di quel che si pensa. Perché non ci sono strade, ma rotte sì. E le rotte tendono ad incrociarsi: e qui si apre un altro tema. Cosa succede quando due imbarcazioni si incrociano? Beh, direte voi che siete esperti, ci sono delle regole precise. Sì, ma di fatto non bastano a coprire tutte le situazioni e soprattutto non puoi essere così sicuro che chi giuda il motoscafo che ti viene incontro (per esempio io, quattro anni fa) conosca queste regole. Quindi? Ci vuole un signàl. Chi meglio capisce la situazione dà un'indicazione chiara, con una virata abbastanza marcata, delle sue intenzioni così l'altra imbarcazione non ha dubbi se passarti a destra o sinistra. Poi c'è la questione di chi procede a vele spiegate o a motore ma è già abbastanza complicato così!

Insomma, andar per mare richiede tanta perspicacia. Capacità di leggere la situazione, interpretare i signàl (appunto), distinguerli dai cocàl (appunto), agire di conseguenza in modo chiaro e non equivocabile. Stessa roba col vento. In definitiva, ce n'è sempre troppo poco, troppo o viene dalla direzione sbagliata: ma rispetto a cosa? Al fatto che tu vuoi arrivare alla meta e ci vuoi arrivare entro una certa ora. Ma non funziona così, caro il mio turista per caso: c'è un filo di vento? Vuoi andare a vela? Mettitela via di arrivare entro l'ora X e inizia ad andare di bolina (per chi come me non ne capisce molto, significa procedere facendo lunghe diagonali, formando una specie di zig-zag verso la meta: mi perdonino i velisti per questa descrizione, ma così capirei anch'io). Non c'è vento? O stai fermo o vai a motore. Hai gana di arrivare per tuffarti nudo in una baia solitaria? Motore e niente vele. Eh ma allora che gusto c'è? Non lo so, ma è così.

Poi è tutto complesso: pure salpare l'ancora, che sembra una cazzata. Non parliamo di fissare le cime ad un gavitello o peggio ormeggiare in una marina. Il povero Maurizio (così si chiama lo skipper che ci ha accompagnato lungo le coste della Croazia) sperava di contare sul mio aiuto e mi dava indicazioni, omettendo o dando per scontate circa il 70% delle informazioni. "Prendi il mezzo marinaio, quando ti alzano la corda tu tirala su e vai verso prua velocemente" (mezzo marinaio? la corda dove la devo passare, dentro o fuori? e perché non mi dici che "tirare" significa tirare forte perché sott'acqua c'è un "corpo morto" che pesa l'iradiddio?!...). Io sono impedito, questo va detto, ma vi garantisco che anche fare un caffè col mare agitato è una vera e propria impresa, come del resto stare in piedi senza sbattere ovunque.

E' stata un'esperienza molto particolare e, per me che non soffro di mal di mare, direi bellissima. Al di là della suggestione di certi luoghi, delle baie azzurre, della vista dei delfini al largo, anche aldilà dell'esperienza del vento a 35 nodi (c'è di peggio ma vi garantisco che fa effetto!) e delle onde alte 3 metri, sto cercando di capire cosa mi ha insegnato questa settimana in barca a vela. Non ho ancora fatto sintesi ma la navigazione-questo tipo di navigazione- è senz'altro una metafora potente della vita e forse anche della conduzione di un'impresa, qualunque essa sia. Quello che so è che -finita la vacanza ormai da tre giorni- domani mattina ripartirei senza esitazioni.











sabato 15 aprile 2017

Fioriranno i deserti - Pasqua 2017

Chi ha visto lo spettacolo della fioritura del deserto può testimoniarlo: è qualcosa che ti lascia senza fiato. 
Laddove la vita sembra impossibile, in alcuni momenti dell'anno o in concomitanza di straordinari eventi atmosferici (insomma, quando piove), la terra riarsa si ricopre di veri e propri manti fioriti. Basta cercare le immagini su google per farsi un'idea di questo miracolo: rocce spaccate dal sole circondate da distese di arbusti violacei o gialli o comunque verdi. 

La meraviglia ispirata da questo spettacolo nasce da una ovvia domanda: come fa un ambiente apparentemente sterile a generare tanto rigoglio? Anche la risposta è ovvia: sotto la superficie crostosa o sabbiosa dormono dei semi.
Per il momento accontentiamoci di questa risposta, che apre una domanda molto più profonda e -magari- nasconde un piccolo insegnamento per noi.

Infrangendo l'unità spazio-temporale, con buona pace del mio amico Aristotele, vi porto con me durante una delle mie corse mattutine. Ho la fortuna di abitare in un piccolo paese di provincia, alle pendici del Monte Summano: mi basta percorrere cinquecento metri per trovarmi immerso nella natura e poter corricchiare senza pestare asfalto con le mie Saucony.  Ho due tre itinerari, a seconda del tempo a disposizione e della voglia di far fatica, ma tutti prevedono il passaggio per la chiesetta del "Santo", dove imbocco una stradina che conduce a una cascatella. Lì mi fermo sempre (è probabilmente la mia natura acquatica a rendermi questo luogo così "sim-patico", o forse è una scusa per riprendere fiato) e dopo anni sarei ormai in grado di fare una statistica sulla sua portata d'acqua. 
E' sempre stata una cascata vivace, con un piccolo bacino d'acqua a monte e tre vie di caduta, ma negli ultimi mesi le piogge sono state molto più rare del normale e ormai a scorrere è solo un unico e magro rivolo d'acqua. Inizialmente ci stavo male a vederla così, poi col passare del tempo ho cambiato sguardo e ho iniziato a apprezzare il fatto che -nonostante la lunga siccità- l'acqua continuasse comunque a scendere e a fecondare la vegetazione circostante.

Magari vi ho già perso, per cui è meglio avviarsi alla conclusione di questo pensiero della vigilia di Pasqua. 
Il fatto è che la domanda "ulteriore" a cui accennavo prima vale sia per i semi sia per la cascata: "come fanno i semi a restare vivi?", "come fa l'acqua a continuare a scorrere nonostante la scarsità di pioggia?". La domanda è una di quelle che si fanno i bambini e la risposta che danno gli adulti seri come noi non è quasi mai interessante come la domanda. Quello che conta davvero è sapere che il deserto fiorisce, i semi sopravvivono, l'acqua nel cuore della montagna resiste più di quello che immaginiamo. 

Possono passare giorni, settimane, mesi o anni in cui nella nostra vita non piove, ma dentro di noi c'è una forza vitale, protetta da cavità sotterranee o da pieghe accoglienti, che ci permette di andare avanti e affrontare le piccole o grandi sfide della nostra esistenza. Capaci tutti di avanzare quando la corrente è impetuosa e ci trascina a valle senza fatica, ma non è questa la condizione della normalità. Non è la motivazione a cento e l'entusiasmo a mille. Se sappiamo amare il rivolo d'acqua che non scompare e aver cura dei semi nascosti dentro, a custodire la vita, quando verrà la pioggia ci troverà pronti e in cammino.
Allora la cascata tornerà rigogliosa e i deserti fioriranno. E noi saremo di nuovo pronti alla meraviglia.