Un tubo è costituito fondamentalmente da un corpo internamente cavo, di varia forma e lunghezza, e da due aperture: una in entrata, che chiameremo "A" e una in uscita, che con grande fantasia chiameremo "B".
Se il tubo è composto da materiale rigido, vi può passare una certa quantità di materiale e non di più: quando il materiale in entrata ha saturato la portata del condotto, non entra più niente finché qualcosa non esce dall'altra apertura.
Se invece le pareti del tubo sono di materiale elastico, può succedere che entri più materiale di quello che riesce ad uscire. In tal caso succede quello che abbiamo visto in innumerevoli versioni nelle "comiche" cinematografiche o nei cartoni animati: c'è una canna per annaffiare il giardino attaccata al rubinetto, l'acqua entra in continuazione ma qualcosa ne impedisce la fuoriuscita. A quel punto il tubo inizia a gonfiarsi e alla fine da qualche parte scoppia, allagando chiunque si trovi nei paraggi, o si comporta come un serpente impazzito.
Ovviamente può anche succedere che il tubo sia chiuso in entrata, e allora resta vuoto, inerme e... inutile. Sì perché il tubo è fatto per essere attraversato da qualcosa che scorre, rotola o fluisce: è questa la sua funzione. Permettere e facilitare il passaggio, conducendo qualcosa da una parte all'altra. Per questo esistono i tubi.
Ora immaginiamo per un momento che il tubo sia il contenitore della nostra quotidiana esistenza. Avremo una parte da cui entrano gli input (relazioni, cose da fare, situazioni, problemi, opportunità) e una parte da cui escono degli output (risultati ed effetti). In mezzo ci sta tutto il nostro lavoro fisico e psicologico, condìto di emozioni, ragionamenti e sentimenti.
E' ovvio che se il tubo della nostra esistenza si blocca in entrata è un grande problema: se mancano le sfide, le novità, le cose nuove da fare... piano piano la vita perde dinamismo, si avvizzisce e alla fine potrebbe davvero inaridirsi o svuotarsi. Tutto quello che entra dall'apertura "A" genera cambiamento, adattamento ed evoluzione. Magari non sempre quello che arriva è buono. Magari qualche volta ci fa paura. Ecco perché piano piano iniziamo a mettere dei filtri che ci proteggono ma inevitabilmente riducono il flusso in entrata... Se poi entra qualcosa di davvero brutto e doloroso, siamo addirittura tentati di chiudere quell'apertura ergendovi un muro fatto di giudizi, difese, giustificazioni e rifiuto. Però prima o poi lo sentiamo l'odore di chiuso e ci viene a mancare il respiro: allora senza indugiare torniamo ad aprire porte e finestre, a far entrare aria fresca e nuova.
Quando invece l'apertura "A" funziona, dicevamo, le cose della vita entrano e popolano il tubo della nostra esistenza, modificandone continuamente lo stato. Entrano, riempiono tutto lo spazio, premono per entrare ancora ma... stavolta è l'apertura "B" ad avere problemi: ce ne accorgiamo perché non arrivano gli output, i risultati, quella sana chiusura degli item aperti che ci permette di non doverci più lavorare su. A seconda dell'elasticità delle pareti della nostra esistenza, ad un certo punto il tubo comincia ad allargarsi e a gonfiarsi riuscendo a contenere molto più di quello che conteneva prima. E' sorprendente quante cose riesce a trattenere e quanto riesce ad espandersi, ma il flusso non scorre e poco o nulla fuoriesce dal tubo. Il punto è che siamo così impegnati a lavorare tutta questa massa di esperienze che non ci accorgiamo subito del blocco in uscita; la nostra vita è intensa e piena di problemi e opportunità; noi siamo sempre attivi e ce la mettiamo tutta; al resto ci penseremo più avanti (anche se, ad essere onesti, cominciamo a sentirci non troppo bene).
Ma se a bloccare l'apertura "A" era la paura o la difesa, che cosa finisce per ostruire l'apertura "B"? Provo a rispondere: l'attaccamento, l'orgoglio, la volontà di far andare le cose come vogliamo noi, la pretesa di essere indipendenti, la mancanza di fiducia nella natura delle cose. Ecco cosa blocca l'uscita: non volendo mollare mai teniamo tutto dentro, volendo dirigere tutto non permettiamo a nulla di scorrere liberamente e alla fine -se non cambiamo approccio- scoppiamo. Letteralmente. La rabbia e la frustrazione aumentano ancora di più la pressione interna e prima o poi, da qualche parte, un punto del tubo cederà e farà uscire cose che non dovrebbero uscire. Non ora. Non così.
Che fare quindi? Semplice. Se la vita è un tubo basta lasciar andare tutto alla sua velocità, evitando di trattenere, far sedimentare ed incrostare; significa non elaborare troppo, accettare quello che arriva per quello che è e da esso lasciarsi attraversare usando l'elasticità delle pareti per spingerlo verso l'uscita.
Ora sapete perché si dice "non ci ho capito un tubo".
lunedì 30 settembre 2013
sabato 7 settembre 2013
Povero Kant.
Povero Immanuel. Ha passato una vita a scandagliare i fondali dell'umana capacità di conoscere, a contare i nodi della cordicella che scende nei fondali limpidi della Ragion Pura e a tentare di stabilire un difficile limite alla Ragion Pratica. Non si è arreso neppure di fronte al Giudizio estetico, ovvero a quella che appare a noi filosofi non-praticanti come la più vaporosa delle forme di conoscenza. Eppure anche il buon Immanuel, metodico al punto che si racconta che i suoi compaesani di Konigsberg regolassero l'orologio al suo comparire nella quotidiana passeggiata, apriva cuore e braccia all'ammirazione di fronte alle due cose più immense e certe: "il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me".Insomma, chi tra voi ha visto il cielo notturno in una zona desertica sa cosa si intende tecnicamente con l'espressione "uno smerdaro di stelle". Non è che qualcuno te lo deve spiegare: fermi il passo (ché se vedi le stelle è perché quaggiù è buio pesto e rischi di azzopparti), alzi la testa e guardi il firmamento con la bocca semiaperta nella tipica espressione della meraviglia. Il buon Immanuel, con la sua proverbiale semplicità, diceva che questa esperienza "estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile". Vabbè, ci siamo capiti: nella vita hai mille casini e poche certezze. Una di queste è il cielo stellato.
Questa meravigliosa illusione, cioè l'interiore sicurezza che quello che vedi nel cielo è quello che veramente è (non come quando guardi gli altri esseri umani e non ne capisci una mazza), dura fintanto che non partecipi ad una serata astronomica.
Io non so quale sia la Mission dei ricercatori di astronomia, ma credo sia molto vicina a quella di chi si sente in dovere di dirti troppo presto che Babbo Natale non esiste. Una settimana fa ho partecipato con le mie due figlie ad un evento divulgativo presso l'Osservatorio Astronomico dell'Università di Padova ad Asiago. Vi risparmio le dettagliate spiegazioni tecniche su come funziona il controllo remoto dei telescopi, mi interessa parlarvi di alcune cose ovvie dal punto di vista di chi se ne intende di questa disciplina, ma piene di conseguenze dal punto di vista del pensiero di noi bipedi terrestri.
La prima cosa che capisci ascoltando un astronomo è che quello che vedi osservando il cielo (ad occhi nudi o con un potente telescopio) non è quello che in questo esatto momento è o accade. Mi spiego meglio, senza entrare nei meandri della relatività dei concetti di spazio e tempo: tu sei lì bello bello con la testa alta, guardi le stelle e dici: "che bel cielo c'è stasera". Stasera 'na mazza! Quello che vedi, bel bambino, è lo stato di quelle stelle al momento in cui la luce è partita per arrivare fino a te. Quindi quello che tu vedi in questo istante e in modo contemporaneo è quello che è successo 60 anni fa nella stella distante 60 anni luce, 136 anni fa in quella distante 136 anni luce, in quella che pare tanto vicina perché è grande e luminosa invece 468 anni fa. In questo esatto momento una di quelle stelle potrebbe essersi trasformata in una supernova o in una nana rossa, ma probabilmente se ne accorgeranno solo i tuoi posteri.
Tuttavia le certezze ereditate dal povero Kant che sicuramente è là vicino al buon Dio che si batte la fronte e continua a ripetersi "maremma bu'aiola lo dicevo io che c'avevo lo scandaglio troppo piccolo", si infrangono definitivamente quando il giovane ricercatore ti confessa che quello che vediamo e di cui pensiamo di conoscere qualcosina è solo il 4% dell'intero Universo e che di fenomeni come l'antimateria e l'energia oscura conosciamo poco o nulla e... (a questo punto mi sono addormentato e non so bene cosa abbia detto ancora).
Insomma, non ci si può fidare neanche del cielo stellato sopra di noi. Figuriamoci della legge morale dentro di noi!
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