lunedì 21 aprile 2025

IN BALìA DELLA CORRENTE - Pasqua 2025

VUCA VUCA, BANI BANI, tu miscugli le banane, le miscugli in salsa verde, chi le mangia nulla perde”...


Lo so, è una cosa da Boomer. Ma non sono resistito.
In questi tempi di totale incertezza e imprevedibilità, dove si inventa un acronimo al giorno sperando che funzioni come una parola magica, mi è venuta naturale la parodia della celebre canzone nonsense anni ‘70. Erano le Figlie del Vento e c’erano ancora i Juke Box.

Questi primi mesi dell’anno, dove i mercati già depressi sono stati attraversati dal ciclone dei Dazi e da altre piaghe che neanche l’Egitto ai tempi di Mosè poteva immaginare, hanno ulteriormente rafforzato l’idea che instabilità e volatilità siano cifre esclusive della nostra condizione contemporanea. In passato c’erano sicurezze e certezze, oggi traballa tutto e i piedi non sanno dove poggiare per guadagnare un po’ di equilibrio.

Ma dove? Ma quando?!

La precarietà, l’avere la vita appesa a un filo, l’essere costantemente in balìa di una natura potente e di eventi imprevedibili è stata per centinaia di migliaia di anni la normalità per la nostra specie, straordinariamente intelligente e fisicamente debole. I Sapiens sono riusciti a collaborare e questo ha permesso alla civiltà di sfangarla fino ai giorni nostri, ma poco più di 80 anni fa, nel pieno della seconda guerra mondiale, molti dei nostri genitori e nonni hanno sperimentato la fame e il dubbio di avere qualcosa da mettere sul piatto il giorno dopo. E a qualche decina di migliaia di chilometri da noi, ancora oggi è così.

Ci siamo illusi che una maggiore disponibilità economica e il progresso scientifico avrebbero potuto ridurre o addirittura annullare il dubbio della sopravvivenza. Ci abbiamo creduto per qualche decennio, finchè tutto il nostro sistema di certezze è crollato sotto i fendenti della storia e della complessità, che si sono prese la rivincita sulla Hybris del genere umano e sul suo delirio di onnipotenza.

Sei un imprenditore e una brava persona, tutti lo riconoscono. Nel pieno di un nubifragio stai andando verso il centro della città per dare una mano alla Protezione Civile. Con te c’è tuo figlio, nel fiore dei suoi 20 anni. L’acqua del fiume scorre impetuosa mentre ci passi sopra con la tua auto, esattamente nel momento in cui il ponte cede e la tua vita finisce, trascinata dalla corrente a chilometri di distanza. Questione di secondi (no minuti, secondi) e sarebbero stati salvi.

Che senso ha una cosa del genere? Qualcuno degli ottimisti esistenziali sa dare una risposta plausibile?

In Sicilia direbbero “je accussì”, con un fatalismo che però nasconde l’accettazione di una condizione precaria e di un destino assolutamente arbitrario.

Questa non è la cifra dei nostri tempi, è la cifra della nostra condizione. Che ci piaccia o no.

E qui, esattamente qui, arriva la potenza dirompente della Pasqua. In una umanità sconfitta e disperata, a un certo punto della storia, arriva un messaggio di rinascita e speranza: esiste una forza capace di sopravvivere alla morte e di dare un senso anche alla fragilità dell’esistenza. Questa forza è l’amore, in tutte le sue meravigliose forme: l’unica in grado di far uscire l’essere umano dalla sua costitutiva precarietà e permettergli di lanciarsi tra le onde del destino e sopravvivere a sé stesso, grazie ai frutti della generosità e dell’altruismo.

Oppure no. Non è vero e non c’è alcuna speranza.

Per fortuna si può scegliere!

Buona Pasqua a tutti!


Andrea Pozzan

Filosofo non praticante


venerdì 27 dicembre 2024

COME UN FLUIDO NON NEWTONIANO - Natale 2024

Sono arrivato a quasi 60 anni ignorando l’esistenza dei fluidi non newtoniani.

Se sono sopravvissuto fino ad oggi senza saperlo un motivo ci sarà, ma il filosofo che sonnecchia in me alza subito il sopracciglio quando incontra qualcosa che ancora non conosce.
Avete già aperto Wikipedia? Beh, vi sfido a capirci qualcosa in mezzo a tutte quelle formule (lo so, qualcuno lo sapeva già e bla bla bla!). Provo a spiegarlo con parole mie: in buona sostanza un fluido non newtoniano si comporta in modo diverso a seconda di come lo approcci: se usi un impatto forte, si indurisce e ti respinge; se applichi una “forza di taglio” lenta e graduale, si deforma e ti accoglie.

Volete provare!?
Prendete un bicchiere con dentro un dito d’acqua e amido di mais sufficiente a creare una pastella abbastanza densa. Fatto?!
Ora prendete il dito di cui è dotata la vostra mano e infilatelo con decisione nella pastella: si indurirà all’istante. Ripetete l’operazione immergendo il dito lentamente e vedrete che la pastella resterà liquida e vi permetterà di sprofondare (sto facendo i salti mortali con le parole per evitare allusioni, ma ci siamo capiti!).
Insomma: avendo abbastanza Maizena da riempire il lago di Cafarnao, anche noi riusciremo a camminare sulle acque! Dovremmo però usare un passo deciso e pestare un po’ i piedi, altrimenti coleremmo a picco miseramente. Sai che figura con tutti i tifosi di Betlemme che ti guardano, proprio nel giorno di Natale!

Ok, fine della lezione di Geopop. Ma la fisica e le sue leggi offrono metafore davvero illuminanti sul funzionamento della vita e delle relazioni umane.

Quante volte abbiamo preso di petto una situazione o siamo stati così decisi e irruenti da creare nelle altre persone un vero e proprio muro?
Quante volte ci siamo ostinati a far andare le cose secondo la nostra volontà, andando a cozzare violentemente contro un vetro invisibile?

Non si è forse attaccata alla nostra mente, come tartaro sui denti, la convinzione che se non si usano i metodi “strong” non si arriva da nessuna parte?
Non ci siamo forse nutriti per decenni dell’idea che i più forti e i più veloci sono quelli destinati ad emergere e a vincere nella competizione della vita?

Eppure la nostra esperienza racconta una storia diversa: parla di stanchezza, frustrazione, racconta di ossessioni che trascinano dentro a spirali distruttive, di ostinazioni maledette che finiscono per esaurire ogni energia e gioia di vivere.
E parla anche di abbandono alla forza di gravità, di presa mollata da mani ormai piene di vesciche, di corpo che scivola nella corrente, di sollievo e gratitudine. Noi sappiamo, anche se non vogliamo ammetterlo, che la pazienza, l’attesa, l’ascolto e il rispetto dei tempi dell’altro sono lieviti e fermenti di novità tanto belle quanto insperate.

Forse anche la vita è un fluido non newtoniano. Resiste a chi la affronta come fosse una barriera da abbattere e si apre a chi avanza con passo lento, tastando la consistenza del terreno e chiedendo permesso, voltandosi ogni tanto indietro con gratitudine per il cammino compiuto.

Ma possiamo anche rovesciare la prospettiva e applicare le virtù dei fluidi non newtoniani a noi stessi: se la vita ci attacca con violenza possiamo serrarci e resistere, assorbendo il colpo e impedendole di devastarci; se il mondo vuole spingerci dove non vogliamo andare, possiamo diventare più densi e andare in direzione ostinata e contraria.

Se invece le vicende della vita si presentano un po’ alla volta, con il loro mix di opportunità e limiti, possiamo accoglierle senza ansia, lasciando che ci spingano un po’ più in là o un po’ di lato, senza stravolgere la nostra rotta ma permettendoci di incontrare l’inatteso.

Beh, io mi incammino e provo a zompettare a pelo d’acqua. Vediamo come va! 
Buon Natale a tutti!



Andrea Pozzan

Filosofo non praticante

domenica 31 marzo 2024

LE TRE CLESSIDRE DI SINGH - Pasqua 2024

 

“Che noia, che barba; che barba, che noia; che noia che barba…!”

I boomer conoscono bene questa gag, che concludeva tutti gli episodi di Casa Vianello: Sandra Mondaini e Raimondo Vianello sono a letto, lui con la Gazzetta dello Sport, lei distesa ma ancora con gli occhiali addosso. Nella puntata ne erano successe di ogni, ma tutto terminava con Sandra che agitava le gambe sotto le lenzuola e si lamentava della noiosa routine familiare, sotto lo sguardo rassegnato di Raimondo.

Ora che ho “sbloccato il ricordo”, faccio subito il mio mestiere di filosofastro e mi chiedo: come possiamo definire la noia? Una buona risposta potrebbe essere “la sensazione di avere tanto tempo a disposizione e non sapere che farsene”. Meglio di me ovviamente ha detto Seneca, descrivendola come il fastidio suscitato dal ripetersi ciclico e ineluttabile della vita. O Schopenhauer, con quell'idea della vita che oscilla tra dolore e noia, e non sai mai qual è meglio e qual è peggio tra le due cose.

Altre citazioni non ne voglio fare, perché non sono come i bravi filosofi praticanti, ma resta il fatto che la noia era uno stato d’animo molto presente nell’esperienza di tutti noi, soprattutto nell’età dell’infanzia: le interminabili ore della domenica pomeriggio, le interminabili giornate d’agosto col deserto intorno, “neanche un prete per chiacchierar…", come cantava Celentano. La noia ci accompagnava fedele nei lunghi viaggi in macchina per andare in vacanza, seduti sui sedili posteriori senza cinture e facendo a gara a chi vedeva più auto di colore verde; o nelle sale d’attesa del medico di famiglia, con i numeri vecchi di Famiglia Cristiana come unico svago.

Il ricordo della noia per me ha un sapore dolciastro e asciutto, come quello dei bastoncini di radice di liquirizia che masticavamo fino allo sfinimento. Odora di vuoto, lentezza e tempo sospeso. Non mi risuona dentro con accenti tutti negativi, anzi. Era un ingrediente ricorrente e quasi inevitabile della quotidianità, quindi scontato e alla fine rassicurante.

E oggi? Dov’è finita la noia? Dove si è perduta quella sovrabbondanza di tempo e quell’assenza di attività e obiettivi? Neppure ai bambini è concesso questo lusso. Tempo saturato al 100%, con i genitori impegnati in una logistica complessa sul filo del minuto e del divieto di sosta. Scuola, sport, strumenti musicali, corsi di lingue, secondo sport, compiti, ripetizioni, e quel che resta a stare piegati sui precocissimi smartphone.

Siamo stati catapultati su un bipolarismo letale, in bilico tra frenesìa e spreco di tempo a cazzeggiare sui social. Mettiamo dentro troppe cose nell’unità di tempo disponibile per paura di … [inserisci qui la cosa che più ti preoccupa] e poi ne sprechiamo una quantità inconsapevole, strisciando e picchiettando lo schermo di quell’appendice del nostro corpo che chiamiamo impropriamente telefono.

Ebbene sì, il tema alla fine torna a essere quello del tempo. Non mi era mai successo in tutti questi anni di messaggi del Filosofo non praticante di parlare dello stesso argomento a Natale e poi a Pasqua. Un motivo ci sarà!

Recentemente sono stato con mia moglie a Parigi (sì, il mini viaggio di nozze tipico degli imprenditori veneti!) e gironzolando per il Quartiere Latino siamo entrati in un piccolo locale che proponeva cucina indiana e tanti tipi di tè. 

Una volta raccolta la nostra comanda il titolare, che chiameremo col nome di fantasia Singh, ha portato al nostro tavolo tre clessidre con la sabbia di tre colori diversi, ognuno dei quali corrispondeva a tempi di infusione più o meno lunghi. Vedendo le nostre espressioni interrogative Singh ci ha spiegato che i tempi di infusione erano determinati dal tipo di foglia e quindi dall’esperienza degustativa che avremmo scelto: volete un’esperienza light, medium o strong? Se la volete tosta e più complessa, ci vuole più tempo e dovete scegliere il tipo di tè che ha queste caratteristiche.

3 minuti, 4 minuti o 5 minuti. Sono pochi? Provate!!

Cosa si può fare nell’era della frenesia durante i 5 minuti in cui l’infuso delle foglie di tè si prepara per essere gustato? Come si riempie quel tempo, che sembra eterno? 

Oh, ci sono un’infinità di modi piacevoli. Si può stare in silenzio a guardare la teiera, osservandone i decori con ostinato scrupolo; si può chiacchierare senza impegno o sbirciare gli altri tavoli, commentando pigramente i commensali e le loro stranezze, con l’interiore certezza di essere oggetto di altrettanti sguardi e supposizioni. 

Che gusto! Allora io propongo che il sabato di Pasqua venga dichiarato ufficialmente “giornata mondiale della noia”: io sarei il primo a festeggiare, liberando la mia anima pigra e indolente, facendomi scorrere addosso senza sensi di colpa i minuti e le ore di una giornata gratuita e senza altro traguardo che il suo compimento. 

Un vero inno alla bellezza intrinseca della vita, che non ha bisogno di molto per essere saporita!

Buona Pasqua a tutti!

Andrea Pozzan Filosofo non praticante


domenica 24 dicembre 2023

IL TEMPO DELL'OROLOGIAIO - Natale 2023



Ha sicuramente più di 80 anni, ma sta ancora dietro al bancone della sua orologeria, col panciotto e l’inseparabile monocolo.
È il padrone del tempo.

Non sono rimasti in molti a saper mettere le mani sui vecchi orologi, dove la meccanica di (semi)precisione misura il tempo senza l’aiuto di impulsi elettrici e batterie. Sono in pochi e hanno tutti una “certa”: sono vintage come gli arredi dei loro negozi e un po’ come gli oggetti di cui si prendono cura. Eh sì, perché quelle di cui stiamo parlando sono anime che curano, non che aggiustano o riparano; e l’oggetto della loro cura è lo strumento per eccellenza della misurazione del tempo: l’orologio, per l’appunto.

Ingranaggi, perni, bilancieri, viti minuscole, regolazioni impercettibili, attriti minimi in spazi angusti: questo è il microcosmo dove lavorano e vivono. Auscultano i battiti esattamente come farebbe un medico, ne colgono incostanze e incertezze, balbettii che compromettono la tanto agognata precisione. Le diagnosi si somigliano tutte (usura, patina del tempo che rallenta lo scorrimento, maldestrìa del proprietario…) ma ogni modello di orologio ha le sue peculiari debolezze, che richiedono attenzioni specifiche nella ricerca delle ragioni del ritardo o dell’anticipo, i grandi nemici della misurazione del tempo.

Forse è proprio a forza di stare a contatto con queste macchine straordinarie ma imperfette che il mio orologiaio di fiducia è diventato il padrone del tempo.

Qualche giorno fa, entrando nel suo negozio in piena frenesia pre natalizia, l’ho trovato intento ad ascoltare una signora anziana (forse ancor più di lui), mentre parlava dei suoi acciacchi e delle sue difficoltà.

Sul tavolo la signora aveva appoggiato una torcia, una radiolina a transistor e un vecchio orologio al quarzo Casio. Aveva bisogno di sostituire le batterie, niente di più.

A dire il vero aveva anche bisogno di un’altra grande cortesia. Le avevano chiuso anche l’ultima cartoleria nel centro storico e lei non sapeva come incartare un piccolo regalo che doveva fare a una persona cara: “non è che potete farmi voi la confezione regalo, ovviamente a pagamento!”.

L’orologiaio ha fatto un cenno alla figlia, che si è occupata senza batter ciglio del pacchetto regalo, e ha continuato ad ascoltare l’anziana signora, che ora aveva portato il discorso su alcuni rilevanti dettagli dei suoi malanni fisici.

Io avevo fretta.
E guardavo l’orologiaio. E guardavo la figlia che incartava il regalino. E guardavo la signora. E tornavo a guardare l’orologiaio. E niente. Ero entrato in una specie di bolla.

Con un misto di pena e impazienza ho così iniziato ad abitare quella bolla, a respirarla. La lentezza mi ha pervaso e inizialmente infastidito.

I secondi mi sono sembrati minuti e i minuti mezz'ore.

Alla fine mi sono arreso e ho deciso di restare dentro alla bolla del tempo dilatato, e respirare. Solo così, dopo un po’, ho potuto capire di cosa era fatta quell’atmosfera sospesa, soffice e avvolgente: era fatta di ascolto e vera (vera!) empatia. Il mio orologiaio era semplicemente in ascolto: non sembrava esserci niente al mondo di più importante di ciò che la signora gli stava raccontando.

Poi la signora ha raccolto le sue cose, ha scambiato altre due parole con la figlia dell’orologiaio che da mo’ aveva terminato il pacchettino regalo, ha pagato ed è uscita. E finalmente è arrivato il mio turno.

Secondo voi in quanto tempo me la sono cavata? Non ne ho idea. Ma sono uscito dal negozio con un foglio dattiloscritto con la mitica Olivetti Lettera 32, contenente le istruzioni precise per effettuare il cambio di data senza usurare il perno di trasmissione. Non era una copia, ma un originale. Lo si capiva dalle sbianchettature e dal colore dell'inchiostro: significa che l’orologiaio padrone del tempo aveva preferito battere a macchina i fogli di istruzione a uno a uno, sperando che i clienti ne sapessero fare tesoro.


Tornato a casa mi sono chiesto come sono arrivato a questo ennesimo Natale.
Parlo per me, e dico che il tempo è stato il mio padrone, e mi ha schiacciato, e compresso, e tiranneggiato.

E voi? mmmh…

Allora l’augurio del Filosofo non praticante per quest’anno è quello di entrare ogni tanto nella bolla dell’orologiaio e stare lì, con gli occhi e il cuore aperto, ad ascoltare. Magari iniziando da chi ci sta vicino
.


Cosa succederà? Non lo so. 

Ma forse rallentare ci salverà.


Buon Natale a tutti!


Andrea Pozzan

Filosofo non praticante


domenica 9 aprile 2023

PENSAVO FOSSE IMMORTALE - Pasqua 2023

Pensavo fosse immortale.

Si chiamava Tina. Era una tartaruga terrestre ed è morta poco dopo il risveglio dal letargo invernale.


Quando è arrivata da noi, dopo 10 anni vissuti in un altro giardino e con altri umani (le tartarughe non hanno padroni, hanno esseri che ogni tanto le nutrono con cose di cui sono golose), era irresistibile guardarla esplorare il nuovo territorio e provare a scalare ogni ostacolo, alla ricerca di vie di fuga e di confini ancora ignoti.

A vederla muoversi, tutt’altro che lenta ma un po’ scoordinata e disarmonica, sembrava un animaletto poco evoluto, impreciso e a tratti goffo. Poi giravi l’occhio e la trovavi ritta in verticale intenta a scalare in opposizione un angolo del recinto, puntando le unghie su appigli che neanche Manolo a Yosemite…


Osservando per mesi una testuggine capisci perché sono così longeve e resilienti. Forse favorite da una vita emotiva quasi nulla e dall’indifferenza rettiliana, si muovono nel loro mondo con competenza e senza sprechi di energia, possono procurarsi il cibo da sole ma se porti loro frutti rossi o altre specialità ti degnano anche di un minimo di attenzione. Se cadono a zampe all’aria durante un tentativo di fuga, si raddrizzano con nonchalance e ricominciano ad arrampicare. Amano gli ostacoli, gli intrighi e si divertono a superarli. Tina era single ma immagino se la debbano sudare anche quando si accoppiano, con l’armatura, le zampe corte e tutto il resto. Ah, a proposito: qui l’evoluzione ha fatto il botto con un design ergonomico straordinario, intervenendo nella progettazione della piastra dei maschi rendendola concava, in modo da facilitare la salita sul carapace della femmina.


Insomma. Io pensavo fosse invincibile e più la guardavo più pensavo che mi sarebbe certamente sopravvissuta. E invece al risveglio dopo il letargo è apparsa subito in difficoltà e dopo pochi giorni -nonostante l’intervento di un premurosissimo veterinario- Tina se n’è andata, riuscendo alla fine nel suo intento di fuga definitiva. 

È una storia triste, lo so, e ci ho pensato un po’ prima di raccontarvela proprio qui, in occasione della Pasqua. Ma la morte c’è, il limite c’è, l’ostacolo insormontabile può arrivare anche per chi sembra capace di superare ogni difficoltà.


Tina non era invincibile. Noi non siamo invincibili. 

Siamo bravi, facciamo tante cose, affrontiamo difficoltà, imprevisti e anche disgrazie. Ci rialziamo il più delle volte ancora più forti, ma non immuni da ulteriori cadute.
La vita è un dono prezioso e fragile, anche per un essere corazzato e tenace come la tartaruga, figuriamoci per noi, povere scimmie nude. 

Per cui, amiche e amici cari, non esageriamo. Non chiediamo troppo a noi stessi o alle persone che ci sono vicine, e non pensiamo che “tanto a noi non succederà”. Proviamo a stare un po’ più tranquilli e sereni, prendendo quello che la vita ogni giorno ci offrirà. Inseguiamo i nostri sogni, conquistiamo gli obiettivi che pensiamo ci daranno felicità, ma non ostiniamoci, perché neanche le tartarughe sono immortali!


Buona Pasqua!



Andrea Pozzan


lunedì 26 dicembre 2022

IN BILICO - Natale 2022

 



Lui è Pablo e dove lo metti sta.

Il suo autore si chiama Franco Mastrovita, di passione burattinaio e pura anima di artista. 


Pablo, nel suo essere apparentemente elementare, ha una caratteristica sorprendente: può stare in equilibrio su qualsiasi cosa, anche sulla lama di un rasoio. E non sta fermo: oscilla! Barcolla pericolosamente ma non molla, tentenna e si inclina fino al limite per poi raddrizzarsi e ribaltarsi sul lato opposto, rallentando il suo moto fino a fermarsi, spesso fuori perpendicolo. 

Pablo danza, in bilico sull’orlo del caos, alla ricerca di un equilibrio precario che trova immancabilmente. Mi ricorda la mia istruttrice di yoga quando, plasmando il corpo negli Asana più contorti e per me dolorosissimi da mantenere, diceva con naturalezza “e… sto”. Anche Pablo, tra pesi e contrappesi, alla fine sta.


A noi piacerebbe essere come Pablo, capaci di danzare in questa complessità volatile e incerta. Sì perché la nostra quotidianità somiglia sempre di più a quei videogiochi di fine anni ‘90, con i mostri che sbucano all’improvviso da ogni dove. Eventi drammatici si susseguono e si sovrappongono, mentre i loro impatti generano onde d’urto che travolgono l’umanità a tutte le latitudini. Non so come sia la visuale dalle cabine di comando dei colossi del digitale, che navigano in questo mare inquieto con i loro piroscafi inaffondabili (eh, eh… questa l’avevo già sentita!), ma a noi che beccheggiamo su piccole imbarcazioni stare a galla sembra dannatamente difficile. 

Abbiamo una rotta, e questo è già qualcosa, ma non abbiamo idea di cosa potremmo incontrare lungo il nostro percorso: nuove insidie, carenza di risorse essenziali, costi improvvisamente proibitivi, nemici che prima non sospettavamo e abbandono di ogni solidarietà tra pari. Si procede, ma con grande dispendio di forze e con lo spirito un po’ appesantito da questa tensione verso obiettivi spesso ridimensionati.

La vita in questi anni venti del nuovo millennio sembra ispirarsi al viaggio di Odisseo, strapazzato da venti avversi e in balìa di divinità incazzate e vendicative. A pensarci bene, grazie a questo percorso a zig-zag, sono anche tempi ricchi di esperienze, nuove consapevolezze e occasioni di crescita: proprio come l’eroe di Itaca, il nostro rocambolesco ritorno a casa ci mette a contatto con nemici sanguinari ma anche con popoli ospitali e generosi, stimola il nostro ingegno per vincere la forza bruta di un semidio monocolo o gli inganni di una dea esperta di arti magiche, aumenta la nostra conoscenza del reale e ci spinge ai confini del mondo noto. Che avventura: muoiono quasi tutti ma sai quante cose impari!!


Allora io torno ad ammirare Pablo e mi chiedo cosa potrebbe insegnarci, col suo dondolare sempre in bilico e la sua espressione un po’ così…

In primis a non temere il movimento, né le forze contrapposte che lo generano. A non preoccuparsi del punto di appoggio, delle sicurezze sulle quali fondare il nostro benessere: basta poco, lo schienale di una sedia, lo spigolo del tavolo, il filo di un coltello… e un po’ di vuoto intorno. Eh sì, perché senza il vuoto Pablo non può oscillare e se non oscilla non può cercare pazientemente il suo equilibrio miracoloso.

E poi Pablo non è perfetto, né assolutamente simmetrico, né super dotato, né magico, né costruito con superleghe e nanotecnologie, né frutto di simulazioni matematiche. È fatto di legno, fil di ferro, piombo e ingegno.


Lui è Pablo e dove lo metti sta.

Pablo siamo noi.


Buon Natale a tutti!


Andrea Pozzan



domenica 17 aprile 2022

IL TERZO GIORNO - Pasqua 2022

“Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte”.

Così recita il Symbolum apostolico, il “Credo” che -almeno nella nostra infanzia- tutti noi abbiamo recitato e che racchiude il nucleo della fede cristiana. 


Questa formula ha attraversato indenne i secoli, si è trasmessa per via orale e poi scritta, è passata al vaglio di Concilii e riforme: in essa niente è casuale, neanche la punteggiatura.

Non oso entrare in argomenti teologici e religiosi, non ne avrei la capacità né troverei opportuno il contesto. Da buon filosofo dilettante, mi soffermerò solo su due dettagli: i punti e virgola e il terzo giorno.


Mi ha sempre colpito il modo fulmineo in cui la prima parte della narrazione sa percorrere la cosiddetta “Passione” di Gesù di Nazareth: quattro verbi e un riferimento al povero Ponzio Pilato, che se non altro ha avuto il merito di ricordare a tutti l’importanza di lavarsi le mani, ed è tutto finito.
Nessuna concessione allo Storytelling, di cui invece abbonda la narrazione dei vangeli: solo l’asciutta cronaca della dolorosa fine di un giusto, vittima dell’ingiustizia del suo popolo, con la complicità passiva dei suoi oppressori. 


Poi le virgole lasciano il posto a due punti e virgola. Nel mezzo, la discesa agli inferi.

Si rompe la continuità, si crea una parentesi e si sprofonda in un’altra dimensione. È il regno sotterraneo, dove tutto è rovesciato e domina la morte, la negazione di ogni senso. È il silenzio dell’incomunicabilità contrapposto alla parola che connette, il buio che si oppone alla luce, la passività senza speranza che fa da ombra all’energia creativa e dirompente della vita. Non si sta bene in mezzo a questa parentesi. Proprio no. Lo dicono tutte le fibre della nostra anima.


Ma arriva la terza parte di questa narrazione. Terzia die (si capisce senza tradurre, no?): all’alba la tomba è vuota, una luce accecante torna a invadere la scena. 

È la Pasqua, il nuovo inizio, l’alba bianca dopo il nero inchiostro della notte, la resurrezione alla vita dopo l’angoscia sanguinante dell’orto degli ulivi.


Anche un supereroe come Gesù ha dovuto attraversare la drammatica vicenda dell’annientamento e ha dovuto attendere i tempi della rinascita. O forse ha voluto mostrare definitivamente alle nostre teste dure la verità che tutti i riti ancestrali del passaggio avevano già intuito: la vita nuova, il rinnovamento, il cambiamento profondo, le energie potenti della natura si generano solo dalla rottura dell’armonia.


Viviamo momenti drammatici, pieni di minacce e contrapposizioni apparentemente insanabili, ma noi crediamo che questo tempo racchiuso tra due punti e virgola finirà e da questa turbolenza dolorosa nasceranno un nuovo equilibrio e nuove spinte vitali.


Nel mezzo, facciamo del nostro meglio e aspettiamo, fiduciosi, il terzo giorno!



Andrea Pozzan