Pensavo fosse immortale.
Si chiamava Tina. Era una tartaruga terrestre ed è morta poco dopo il risveglio dal letargo invernale.
Quando è arrivata da noi, dopo 10 anni vissuti in un altro giardino e con altri umani (le tartarughe non hanno padroni, hanno esseri che ogni tanto le nutrono con cose di cui sono golose), era irresistibile guardarla esplorare il nuovo territorio e provare a scalare ogni ostacolo, alla ricerca di vie di fuga e di confini ancora ignoti.
A vederla muoversi, tutt’altro che lenta ma un po’ scoordinata e disarmonica, sembrava un animaletto poco evoluto, impreciso e a tratti goffo. Poi giravi l’occhio e la trovavi ritta in verticale intenta a scalare in opposizione un angolo del recinto, puntando le unghie su appigli che neanche Manolo a Yosemite…
Osservando per mesi una testuggine capisci perché sono così longeve e resilienti. Forse favorite da una vita emotiva quasi nulla e dall’indifferenza rettiliana, si muovono nel loro mondo con competenza e senza sprechi di energia, possono procurarsi il cibo da sole ma se porti loro frutti rossi o altre specialità ti degnano anche di un minimo di attenzione. Se cadono a zampe all’aria durante un tentativo di fuga, si raddrizzano con nonchalance e ricominciano ad arrampicare. Amano gli ostacoli, gli intrighi e si divertono a superarli. Tina era single ma immagino se la debbano sudare anche quando si accoppiano, con l’armatura, le zampe corte e tutto il resto. Ah, a proposito: qui l’evoluzione ha fatto il botto con un design ergonomico straordinario, intervenendo nella progettazione della piastra dei maschi rendendola concava, in modo da facilitare la salita sul carapace della femmina.
Insomma. Io pensavo fosse invincibile e più la guardavo più pensavo che mi sarebbe certamente sopravvissuta. E invece al risveglio dopo il letargo è apparsa subito in difficoltà e dopo pochi giorni -nonostante l’intervento di un premurosissimo veterinario- Tina se n’è andata, riuscendo alla fine nel suo intento di fuga definitiva.
È una storia triste, lo so, e ci ho pensato un po’ prima di raccontarvela proprio qui, in occasione della Pasqua. Ma la morte c’è, il limite c’è, l’ostacolo insormontabile può arrivare anche per chi sembra capace di superare ogni difficoltà.
Tina non era invincibile. Noi non siamo invincibili.
Siamo bravi, facciamo tante cose, affrontiamo difficoltà, imprevisti e anche disgrazie. Ci rialziamo il più delle volte ancora più forti, ma non immuni da ulteriori cadute.
La vita è un dono prezioso e fragile, anche per un essere corazzato e tenace come la tartaruga, figuriamoci per noi, povere scimmie nude.
Per cui, amiche e amici cari, non esageriamo. Non chiediamo troppo a noi stessi o alle persone che ci sono vicine, e non pensiamo che “tanto a noi non succederà”. Proviamo a stare un po’ più tranquilli e sereni, prendendo quello che la vita ogni giorno ci offrirà. Inseguiamo i nostri sogni, conquistiamo gli obiettivi che pensiamo ci daranno felicità, ma non ostiniamoci, perché neanche le tartarughe sono immortali!
Buona Pasqua!
Andrea Pozzan

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