domenica 24 dicembre 2023

IL TEMPO DELL'OROLOGIAIO - Natale 2023



Ha sicuramente più di 80 anni, ma sta ancora dietro al bancone della sua orologeria, col panciotto e l’inseparabile monocolo.
È il padrone del tempo.

Non sono rimasti in molti a saper mettere le mani sui vecchi orologi, dove la meccanica di (semi)precisione misura il tempo senza l’aiuto di impulsi elettrici e batterie. Sono in pochi e hanno tutti una “certa”: sono vintage come gli arredi dei loro negozi e un po’ come gli oggetti di cui si prendono cura. Eh sì, perché quelle di cui stiamo parlando sono anime che curano, non che aggiustano o riparano; e l’oggetto della loro cura è lo strumento per eccellenza della misurazione del tempo: l’orologio, per l’appunto.

Ingranaggi, perni, bilancieri, viti minuscole, regolazioni impercettibili, attriti minimi in spazi angusti: questo è il microcosmo dove lavorano e vivono. Auscultano i battiti esattamente come farebbe un medico, ne colgono incostanze e incertezze, balbettii che compromettono la tanto agognata precisione. Le diagnosi si somigliano tutte (usura, patina del tempo che rallenta lo scorrimento, maldestrìa del proprietario…) ma ogni modello di orologio ha le sue peculiari debolezze, che richiedono attenzioni specifiche nella ricerca delle ragioni del ritardo o dell’anticipo, i grandi nemici della misurazione del tempo.

Forse è proprio a forza di stare a contatto con queste macchine straordinarie ma imperfette che il mio orologiaio di fiducia è diventato il padrone del tempo.

Qualche giorno fa, entrando nel suo negozio in piena frenesia pre natalizia, l’ho trovato intento ad ascoltare una signora anziana (forse ancor più di lui), mentre parlava dei suoi acciacchi e delle sue difficoltà.

Sul tavolo la signora aveva appoggiato una torcia, una radiolina a transistor e un vecchio orologio al quarzo Casio. Aveva bisogno di sostituire le batterie, niente di più.

A dire il vero aveva anche bisogno di un’altra grande cortesia. Le avevano chiuso anche l’ultima cartoleria nel centro storico e lei non sapeva come incartare un piccolo regalo che doveva fare a una persona cara: “non è che potete farmi voi la confezione regalo, ovviamente a pagamento!”.

L’orologiaio ha fatto un cenno alla figlia, che si è occupata senza batter ciglio del pacchetto regalo, e ha continuato ad ascoltare l’anziana signora, che ora aveva portato il discorso su alcuni rilevanti dettagli dei suoi malanni fisici.

Io avevo fretta.
E guardavo l’orologiaio. E guardavo la figlia che incartava il regalino. E guardavo la signora. E tornavo a guardare l’orologiaio. E niente. Ero entrato in una specie di bolla.

Con un misto di pena e impazienza ho così iniziato ad abitare quella bolla, a respirarla. La lentezza mi ha pervaso e inizialmente infastidito.

I secondi mi sono sembrati minuti e i minuti mezz'ore.

Alla fine mi sono arreso e ho deciso di restare dentro alla bolla del tempo dilatato, e respirare. Solo così, dopo un po’, ho potuto capire di cosa era fatta quell’atmosfera sospesa, soffice e avvolgente: era fatta di ascolto e vera (vera!) empatia. Il mio orologiaio era semplicemente in ascolto: non sembrava esserci niente al mondo di più importante di ciò che la signora gli stava raccontando.

Poi la signora ha raccolto le sue cose, ha scambiato altre due parole con la figlia dell’orologiaio che da mo’ aveva terminato il pacchettino regalo, ha pagato ed è uscita. E finalmente è arrivato il mio turno.

Secondo voi in quanto tempo me la sono cavata? Non ne ho idea. Ma sono uscito dal negozio con un foglio dattiloscritto con la mitica Olivetti Lettera 32, contenente le istruzioni precise per effettuare il cambio di data senza usurare il perno di trasmissione. Non era una copia, ma un originale. Lo si capiva dalle sbianchettature e dal colore dell'inchiostro: significa che l’orologiaio padrone del tempo aveva preferito battere a macchina i fogli di istruzione a uno a uno, sperando che i clienti ne sapessero fare tesoro.


Tornato a casa mi sono chiesto come sono arrivato a questo ennesimo Natale.
Parlo per me, e dico che il tempo è stato il mio padrone, e mi ha schiacciato, e compresso, e tiranneggiato.

E voi? mmmh…

Allora l’augurio del Filosofo non praticante per quest’anno è quello di entrare ogni tanto nella bolla dell’orologiaio e stare lì, con gli occhi e il cuore aperto, ad ascoltare. Magari iniziando da chi ci sta vicino
.


Cosa succederà? Non lo so. 

Ma forse rallentare ci salverà.


Buon Natale a tutti!


Andrea Pozzan

Filosofo non praticante


domenica 9 aprile 2023

PENSAVO FOSSE IMMORTALE - Pasqua 2023

Pensavo fosse immortale.

Si chiamava Tina. Era una tartaruga terrestre ed è morta poco dopo il risveglio dal letargo invernale.


Quando è arrivata da noi, dopo 10 anni vissuti in un altro giardino e con altri umani (le tartarughe non hanno padroni, hanno esseri che ogni tanto le nutrono con cose di cui sono golose), era irresistibile guardarla esplorare il nuovo territorio e provare a scalare ogni ostacolo, alla ricerca di vie di fuga e di confini ancora ignoti.

A vederla muoversi, tutt’altro che lenta ma un po’ scoordinata e disarmonica, sembrava un animaletto poco evoluto, impreciso e a tratti goffo. Poi giravi l’occhio e la trovavi ritta in verticale intenta a scalare in opposizione un angolo del recinto, puntando le unghie su appigli che neanche Manolo a Yosemite…


Osservando per mesi una testuggine capisci perché sono così longeve e resilienti. Forse favorite da una vita emotiva quasi nulla e dall’indifferenza rettiliana, si muovono nel loro mondo con competenza e senza sprechi di energia, possono procurarsi il cibo da sole ma se porti loro frutti rossi o altre specialità ti degnano anche di un minimo di attenzione. Se cadono a zampe all’aria durante un tentativo di fuga, si raddrizzano con nonchalance e ricominciano ad arrampicare. Amano gli ostacoli, gli intrighi e si divertono a superarli. Tina era single ma immagino se la debbano sudare anche quando si accoppiano, con l’armatura, le zampe corte e tutto il resto. Ah, a proposito: qui l’evoluzione ha fatto il botto con un design ergonomico straordinario, intervenendo nella progettazione della piastra dei maschi rendendola concava, in modo da facilitare la salita sul carapace della femmina.


Insomma. Io pensavo fosse invincibile e più la guardavo più pensavo che mi sarebbe certamente sopravvissuta. E invece al risveglio dopo il letargo è apparsa subito in difficoltà e dopo pochi giorni -nonostante l’intervento di un premurosissimo veterinario- Tina se n’è andata, riuscendo alla fine nel suo intento di fuga definitiva. 

È una storia triste, lo so, e ci ho pensato un po’ prima di raccontarvela proprio qui, in occasione della Pasqua. Ma la morte c’è, il limite c’è, l’ostacolo insormontabile può arrivare anche per chi sembra capace di superare ogni difficoltà.


Tina non era invincibile. Noi non siamo invincibili. 

Siamo bravi, facciamo tante cose, affrontiamo difficoltà, imprevisti e anche disgrazie. Ci rialziamo il più delle volte ancora più forti, ma non immuni da ulteriori cadute.
La vita è un dono prezioso e fragile, anche per un essere corazzato e tenace come la tartaruga, figuriamoci per noi, povere scimmie nude. 

Per cui, amiche e amici cari, non esageriamo. Non chiediamo troppo a noi stessi o alle persone che ci sono vicine, e non pensiamo che “tanto a noi non succederà”. Proviamo a stare un po’ più tranquilli e sereni, prendendo quello che la vita ogni giorno ci offrirà. Inseguiamo i nostri sogni, conquistiamo gli obiettivi che pensiamo ci daranno felicità, ma non ostiniamoci, perché neanche le tartarughe sono immortali!


Buona Pasqua!



Andrea Pozzan