sabato 30 marzo 2013

Neanche i proverbi


Se volete una cifra simbolica della profondità dei cambiamenti che caratterizzano questo nostro tempo stra-ordinario, è senz’altro questa: non valgono più neanche i proverbi!

Fin dall’antichità (espressione generica che tradisce una non precisa conoscenza dei fatti), la cosiddetta saggezza popolare si è condensata in quelli che chiamiamo “proverbi”: sintetiche espressioni, spesso simboliche, che alludono a verità pratiche. “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” è una micro-narrazione a scopo pedagogico. Si potrebbe benissimo raccontare una lunga storia che inizia con “c’era una volta una gatta che, essendo golosa e in particolare molto ghiotta del lardo…” e finisce con una morale sulle nefaste conseguenze della cupidigia, ma il popolo ama la sintesi e allora il proverbio sentenzia la sua verità in un respiro.

Ma qual è la “pretesa” di ogni proverbio? Quella di essere “assoluto”, di valere per sempre e per tutti a prescindere dal tempo e dalle culture: una specie di codice comportamentale dell’umanità, distillato e liofilizzato in una sentenza. Questo non significa che sia vero sempre, neanche “la gente” lo pensa,  ma si presume che le circostanze a cui fa riferimento siano universali: “rosso di sera” è per tutti una delle variabili di colore del tramonto e il proverbio ci dice che statisticamente questo fenomeno fa sperare il bel tempo per il giorno successivo; è sempre vero che “rosso di sera” significa bel tempo il giorno dopo? No. Ma l’importante è che il proverbio faccia riferimento ad una “costante statistica empirica” che nessuno si sente di smentire.

“Morto un papa se ne fa un altro”. Eccoci. 
Lasciamo stare il significato allusivo e concentriamoci sull’oggetto del proverbio: nella storia della Chiesa, si dice con un’unica eccezione avvenuta 600 anni fa, il papa veniva sostituito solo dopo la sua morte. Questa sentenza racchiude una serie di “certezze”: c’è sempre un papa; il papa resta tale finché muore; tuttavia morirà prima o poi; quando sarà morto se ne farà un altro.
E cosa ti fa Benedetto XVI nel XXI secolo (evvai coi numeri romani)? Si dimette, resta vivo e fa sì che “si faccia” un altro papa senza che lui “muore” (alla Bastianich di MasterChef, non sono resistito). Già di per sé la cosa ha disorientato e stupito, tuttavia si sa che a livello puramente “associativo” e razionale tutto si può pensare e accettare.  Ma i sensi e la percezione hanno regole diverse, per loro una cosa c’è o non c’è, è una o è più di una e in base a questo re-agiscono: e allora quando sui giornali è apparsa la foto dell’abbraccio dei due papi siamo andati in corto circuito.


Guardate questa foto ogni volta che sarete tentati di pensare che, in fondo, il mondo non è cambiato così tanto e che prima o poi tutto tornerà come prima. Guardatela e fatevene una ragione.

mercoledì 27 marzo 2013

Scene da una separazione

Sospetti, stratagemmi di piccolo cabotaggio, finzione, aggressività dissimulata, controllo, energie sprecate ad ostacolare anziché a rinascere, presidio del territorio abbandonato, silenzio, freddezza, negazione e cancellazione delle tracce.

Succede nei rapporti affettivi, succede anche nei rapporti professionali: sono solo dinamiche, niente di più, niente di meno. 
Funzioniamo così e non è da farci un dramma.

sabato 9 marzo 2013

Perché non riusciamo a far stare tutto in uno scatolone?

L'immagine dei funzionari della Lehman Brothers che, all'indomani del settembre del 2008, uscivano dalla prestigiosa sede della Banca con  lo scatolone che conteneva le loro cose è ormai entrata nell'immaginario collettivo. A dire il vero già i film americani ci avevano abituato a questa icona del licenziamento. Perché là funziona così: un giorno sei lì con la tua tazza a sorseggiare caffè davanti al PC, il giorno dopo "non abbiamo più bisogno di te".

Lasciamo stare le considerazioni sul giusto e sbagliato, non è di questo che voglio parlare. Oggi voglio parlare di bagagli leggeri. Se sai che la tua posizione è provvisoria, non accumuli cose; non le sedimenti. Ecco perché in America basta uno scatolone per spostarsi di ufficio all'interno della stessa azienda, o in quella 20 piani sopra nello stesso grattacielo, o per finire in una strada.

Oggi ho sgombrato il mio ufficio e mi ci è voluto tutto il bagagliaio della station wagon. Senza ribaltare i sedili, d'accordo, ma vi garantisco che è grande lo stesso. Ci abitavo dal 1999 in quell'ufficio dalle grandi vetrate. Sì, ci abitavo: quando sei socio dell'azienda in cui lavori, finisci per considerare l'ufficio una estensione di casa tua; un po' perché effettivamente ci passi un sacco di tempo, un po' perché sei convinto che non te ne andrai mai. Beh, in 14 anni ho accumulato un sacco di cose: avevo 8 ante di armadio a disposizione e nel tempo le ho riempite di cartelline, documenti, vecchi telefonini, accessori per PC. Ho trovato persino i CD di "Infinito", che servivano per attivare l'accesso ad internet un'era geologica fa! Non le aprivo mai quelle porte ma non mi sono mai deciso a mettere ordine, a selezionare quello che veramente serviva: mi veniva male solo al pensiero.

E così si resta con gli armadi pieni di cose inutili ma che -per qualche misterioso motivo- pensi che prima o poi ti potrebbero servire, finché lo spazio raggiunge il punto di saturazione e allora non aggiungi più niente e non togli più niente. Resta tutto dentro. Tutto fermo. Non serve che spieghi la metafora vero?

Ci è voluto un terremoto, una acuta crisi all'interno della società, l'emergere di differenze profonde sugli obiettivi e gli stili di gestione per far saltare in aria questo tappo. E nel giro di pochi mesi tutto si è compiuto: dopo aver aiutato migliaia di persone a cambiare lavoro, senza mai cambiare il mio, ho deciso di lasciare la mia "creatura" perché non mi somigliava più (anche se a cambiare sono stato soprattutto io in questi anni: gli altri mica sono obbligati a cambiare con te!). Ho ascoltato la vocina che mi diceva di osare di più  e di dare concretezza alle idee che in questi anni si sono fatti sempre più chiari dentro di me.

Ma aspetta, sto divagando. Voglio tornare sul bagagliaio pieno, sugli scatoloni che -nonostante un metro cubo tra carta e oggetti buttati (differenziati, eh...)- ora dovrò piazzare in giro per la casa. Mi sa che cadrà inesorabile quanto provvidenziale  la mannaia di ogni trasloco, per cui metà della roba la elimini caricando e l'altra metà scaricando. Alcune cose infatti non sono riuscito ad eliminarle alla prima botta: apri una scatola, ci trovi dentro biglietti e cose che non avresti voluto riprendere in mano ma poi finisci per leggere con una vena masochistica. Poi ci sono le carte di mio papà. E non vorrai mica buttar via il set da scrivania in pelle vero?

Nonostante tutto, il pensiero degli armadi finalmente vuoti mi fa respirare meglio: ora c'è spazio per il nuovo. Anzi, non ci sarà più neanche bisogno di armadi perché la prossima volta, quando sarà ora di partire, voglio che tutte le cose ci stiano dentro uno scatolone. E per quello che ho in mente io, ogni giorno sarà una nuova partenza.