domenica 31 marzo 2024

LE TRE CLESSIDRE DI SINGH - Pasqua 2024

 

“Che noia, che barba; che barba, che noia; che noia che barba…!”

I boomer conoscono bene questa gag, che concludeva tutti gli episodi di Casa Vianello: Sandra Mondaini e Raimondo Vianello sono a letto, lui con la Gazzetta dello Sport, lei distesa ma ancora con gli occhiali addosso. Nella puntata ne erano successe di ogni, ma tutto terminava con Sandra che agitava le gambe sotto le lenzuola e si lamentava della noiosa routine familiare, sotto lo sguardo rassegnato di Raimondo.

Ora che ho “sbloccato il ricordo”, faccio subito il mio mestiere di filosofastro e mi chiedo: come possiamo definire la noia? Una buona risposta potrebbe essere “la sensazione di avere tanto tempo a disposizione e non sapere che farsene”. Meglio di me ovviamente ha detto Seneca, descrivendola come il fastidio suscitato dal ripetersi ciclico e ineluttabile della vita. O Schopenhauer, con quell'idea della vita che oscilla tra dolore e noia, e non sai mai qual è meglio e qual è peggio tra le due cose.

Altre citazioni non ne voglio fare, perché non sono come i bravi filosofi praticanti, ma resta il fatto che la noia era uno stato d’animo molto presente nell’esperienza di tutti noi, soprattutto nell’età dell’infanzia: le interminabili ore della domenica pomeriggio, le interminabili giornate d’agosto col deserto intorno, “neanche un prete per chiacchierar…", come cantava Celentano. La noia ci accompagnava fedele nei lunghi viaggi in macchina per andare in vacanza, seduti sui sedili posteriori senza cinture e facendo a gara a chi vedeva più auto di colore verde; o nelle sale d’attesa del medico di famiglia, con i numeri vecchi di Famiglia Cristiana come unico svago.

Il ricordo della noia per me ha un sapore dolciastro e asciutto, come quello dei bastoncini di radice di liquirizia che masticavamo fino allo sfinimento. Odora di vuoto, lentezza e tempo sospeso. Non mi risuona dentro con accenti tutti negativi, anzi. Era un ingrediente ricorrente e quasi inevitabile della quotidianità, quindi scontato e alla fine rassicurante.

E oggi? Dov’è finita la noia? Dove si è perduta quella sovrabbondanza di tempo e quell’assenza di attività e obiettivi? Neppure ai bambini è concesso questo lusso. Tempo saturato al 100%, con i genitori impegnati in una logistica complessa sul filo del minuto e del divieto di sosta. Scuola, sport, strumenti musicali, corsi di lingue, secondo sport, compiti, ripetizioni, e quel che resta a stare piegati sui precocissimi smartphone.

Siamo stati catapultati su un bipolarismo letale, in bilico tra frenesìa e spreco di tempo a cazzeggiare sui social. Mettiamo dentro troppe cose nell’unità di tempo disponibile per paura di … [inserisci qui la cosa che più ti preoccupa] e poi ne sprechiamo una quantità inconsapevole, strisciando e picchiettando lo schermo di quell’appendice del nostro corpo che chiamiamo impropriamente telefono.

Ebbene sì, il tema alla fine torna a essere quello del tempo. Non mi era mai successo in tutti questi anni di messaggi del Filosofo non praticante di parlare dello stesso argomento a Natale e poi a Pasqua. Un motivo ci sarà!

Recentemente sono stato con mia moglie a Parigi (sì, il mini viaggio di nozze tipico degli imprenditori veneti!) e gironzolando per il Quartiere Latino siamo entrati in un piccolo locale che proponeva cucina indiana e tanti tipi di tè. 

Una volta raccolta la nostra comanda il titolare, che chiameremo col nome di fantasia Singh, ha portato al nostro tavolo tre clessidre con la sabbia di tre colori diversi, ognuno dei quali corrispondeva a tempi di infusione più o meno lunghi. Vedendo le nostre espressioni interrogative Singh ci ha spiegato che i tempi di infusione erano determinati dal tipo di foglia e quindi dall’esperienza degustativa che avremmo scelto: volete un’esperienza light, medium o strong? Se la volete tosta e più complessa, ci vuole più tempo e dovete scegliere il tipo di tè che ha queste caratteristiche.

3 minuti, 4 minuti o 5 minuti. Sono pochi? Provate!!

Cosa si può fare nell’era della frenesia durante i 5 minuti in cui l’infuso delle foglie di tè si prepara per essere gustato? Come si riempie quel tempo, che sembra eterno? 

Oh, ci sono un’infinità di modi piacevoli. Si può stare in silenzio a guardare la teiera, osservandone i decori con ostinato scrupolo; si può chiacchierare senza impegno o sbirciare gli altri tavoli, commentando pigramente i commensali e le loro stranezze, con l’interiore certezza di essere oggetto di altrettanti sguardi e supposizioni. 

Che gusto! Allora io propongo che il sabato di Pasqua venga dichiarato ufficialmente “giornata mondiale della noia”: io sarei il primo a festeggiare, liberando la mia anima pigra e indolente, facendomi scorrere addosso senza sensi di colpa i minuti e le ore di una giornata gratuita e senza altro traguardo che il suo compimento. 

Un vero inno alla bellezza intrinseca della vita, che non ha bisogno di molto per essere saporita!

Buona Pasqua a tutti!

Andrea Pozzan Filosofo non praticante