venerdì 27 dicembre 2024

COME UN FLUIDO NON NEWTONIANO - Natale 2024

Sono arrivato a quasi 60 anni ignorando l’esistenza dei fluidi non newtoniani.

Se sono sopravvissuto fino ad oggi senza saperlo un motivo ci sarà, ma il filosofo che sonnecchia in me alza subito il sopracciglio quando incontra qualcosa che ancora non conosce.
Avete già aperto Wikipedia? Beh, vi sfido a capirci qualcosa in mezzo a tutte quelle formule (lo so, qualcuno lo sapeva già e bla bla bla!). Provo a spiegarlo con parole mie: in buona sostanza un fluido non newtoniano si comporta in modo diverso a seconda di come lo approcci: se usi un impatto forte, si indurisce e ti respinge; se applichi una “forza di taglio” lenta e graduale, si deforma e ti accoglie.

Volete provare!?
Prendete un bicchiere con dentro un dito d’acqua e amido di mais sufficiente a creare una pastella abbastanza densa. Fatto?!
Ora prendete il dito di cui è dotata la vostra mano e infilatelo con decisione nella pastella: si indurirà all’istante. Ripetete l’operazione immergendo il dito lentamente e vedrete che la pastella resterà liquida e vi permetterà di sprofondare (sto facendo i salti mortali con le parole per evitare allusioni, ma ci siamo capiti!).
Insomma: avendo abbastanza Maizena da riempire il lago di Cafarnao, anche noi riusciremo a camminare sulle acque! Dovremmo però usare un passo deciso e pestare un po’ i piedi, altrimenti coleremmo a picco miseramente. Sai che figura con tutti i tifosi di Betlemme che ti guardano, proprio nel giorno di Natale!

Ok, fine della lezione di Geopop. Ma la fisica e le sue leggi offrono metafore davvero illuminanti sul funzionamento della vita e delle relazioni umane.

Quante volte abbiamo preso di petto una situazione o siamo stati così decisi e irruenti da creare nelle altre persone un vero e proprio muro?
Quante volte ci siamo ostinati a far andare le cose secondo la nostra volontà, andando a cozzare violentemente contro un vetro invisibile?

Non si è forse attaccata alla nostra mente, come tartaro sui denti, la convinzione che se non si usano i metodi “strong” non si arriva da nessuna parte?
Non ci siamo forse nutriti per decenni dell’idea che i più forti e i più veloci sono quelli destinati ad emergere e a vincere nella competizione della vita?

Eppure la nostra esperienza racconta una storia diversa: parla di stanchezza, frustrazione, racconta di ossessioni che trascinano dentro a spirali distruttive, di ostinazioni maledette che finiscono per esaurire ogni energia e gioia di vivere.
E parla anche di abbandono alla forza di gravità, di presa mollata da mani ormai piene di vesciche, di corpo che scivola nella corrente, di sollievo e gratitudine. Noi sappiamo, anche se non vogliamo ammetterlo, che la pazienza, l’attesa, l’ascolto e il rispetto dei tempi dell’altro sono lieviti e fermenti di novità tanto belle quanto insperate.

Forse anche la vita è un fluido non newtoniano. Resiste a chi la affronta come fosse una barriera da abbattere e si apre a chi avanza con passo lento, tastando la consistenza del terreno e chiedendo permesso, voltandosi ogni tanto indietro con gratitudine per il cammino compiuto.

Ma possiamo anche rovesciare la prospettiva e applicare le virtù dei fluidi non newtoniani a noi stessi: se la vita ci attacca con violenza possiamo serrarci e resistere, assorbendo il colpo e impedendole di devastarci; se il mondo vuole spingerci dove non vogliamo andare, possiamo diventare più densi e andare in direzione ostinata e contraria.

Se invece le vicende della vita si presentano un po’ alla volta, con il loro mix di opportunità e limiti, possiamo accoglierle senza ansia, lasciando che ci spingano un po’ più in là o un po’ di lato, senza stravolgere la nostra rotta ma permettendoci di incontrare l’inatteso.

Beh, io mi incammino e provo a zompettare a pelo d’acqua. Vediamo come va! 
Buon Natale a tutti!



Andrea Pozzan

Filosofo non praticante

domenica 31 marzo 2024

LE TRE CLESSIDRE DI SINGH - Pasqua 2024

 

“Che noia, che barba; che barba, che noia; che noia che barba…!”

I boomer conoscono bene questa gag, che concludeva tutti gli episodi di Casa Vianello: Sandra Mondaini e Raimondo Vianello sono a letto, lui con la Gazzetta dello Sport, lei distesa ma ancora con gli occhiali addosso. Nella puntata ne erano successe di ogni, ma tutto terminava con Sandra che agitava le gambe sotto le lenzuola e si lamentava della noiosa routine familiare, sotto lo sguardo rassegnato di Raimondo.

Ora che ho “sbloccato il ricordo”, faccio subito il mio mestiere di filosofastro e mi chiedo: come possiamo definire la noia? Una buona risposta potrebbe essere “la sensazione di avere tanto tempo a disposizione e non sapere che farsene”. Meglio di me ovviamente ha detto Seneca, descrivendola come il fastidio suscitato dal ripetersi ciclico e ineluttabile della vita. O Schopenhauer, con quell'idea della vita che oscilla tra dolore e noia, e non sai mai qual è meglio e qual è peggio tra le due cose.

Altre citazioni non ne voglio fare, perché non sono come i bravi filosofi praticanti, ma resta il fatto che la noia era uno stato d’animo molto presente nell’esperienza di tutti noi, soprattutto nell’età dell’infanzia: le interminabili ore della domenica pomeriggio, le interminabili giornate d’agosto col deserto intorno, “neanche un prete per chiacchierar…", come cantava Celentano. La noia ci accompagnava fedele nei lunghi viaggi in macchina per andare in vacanza, seduti sui sedili posteriori senza cinture e facendo a gara a chi vedeva più auto di colore verde; o nelle sale d’attesa del medico di famiglia, con i numeri vecchi di Famiglia Cristiana come unico svago.

Il ricordo della noia per me ha un sapore dolciastro e asciutto, come quello dei bastoncini di radice di liquirizia che masticavamo fino allo sfinimento. Odora di vuoto, lentezza e tempo sospeso. Non mi risuona dentro con accenti tutti negativi, anzi. Era un ingrediente ricorrente e quasi inevitabile della quotidianità, quindi scontato e alla fine rassicurante.

E oggi? Dov’è finita la noia? Dove si è perduta quella sovrabbondanza di tempo e quell’assenza di attività e obiettivi? Neppure ai bambini è concesso questo lusso. Tempo saturato al 100%, con i genitori impegnati in una logistica complessa sul filo del minuto e del divieto di sosta. Scuola, sport, strumenti musicali, corsi di lingue, secondo sport, compiti, ripetizioni, e quel che resta a stare piegati sui precocissimi smartphone.

Siamo stati catapultati su un bipolarismo letale, in bilico tra frenesìa e spreco di tempo a cazzeggiare sui social. Mettiamo dentro troppe cose nell’unità di tempo disponibile per paura di … [inserisci qui la cosa che più ti preoccupa] e poi ne sprechiamo una quantità inconsapevole, strisciando e picchiettando lo schermo di quell’appendice del nostro corpo che chiamiamo impropriamente telefono.

Ebbene sì, il tema alla fine torna a essere quello del tempo. Non mi era mai successo in tutti questi anni di messaggi del Filosofo non praticante di parlare dello stesso argomento a Natale e poi a Pasqua. Un motivo ci sarà!

Recentemente sono stato con mia moglie a Parigi (sì, il mini viaggio di nozze tipico degli imprenditori veneti!) e gironzolando per il Quartiere Latino siamo entrati in un piccolo locale che proponeva cucina indiana e tanti tipi di tè. 

Una volta raccolta la nostra comanda il titolare, che chiameremo col nome di fantasia Singh, ha portato al nostro tavolo tre clessidre con la sabbia di tre colori diversi, ognuno dei quali corrispondeva a tempi di infusione più o meno lunghi. Vedendo le nostre espressioni interrogative Singh ci ha spiegato che i tempi di infusione erano determinati dal tipo di foglia e quindi dall’esperienza degustativa che avremmo scelto: volete un’esperienza light, medium o strong? Se la volete tosta e più complessa, ci vuole più tempo e dovete scegliere il tipo di tè che ha queste caratteristiche.

3 minuti, 4 minuti o 5 minuti. Sono pochi? Provate!!

Cosa si può fare nell’era della frenesia durante i 5 minuti in cui l’infuso delle foglie di tè si prepara per essere gustato? Come si riempie quel tempo, che sembra eterno? 

Oh, ci sono un’infinità di modi piacevoli. Si può stare in silenzio a guardare la teiera, osservandone i decori con ostinato scrupolo; si può chiacchierare senza impegno o sbirciare gli altri tavoli, commentando pigramente i commensali e le loro stranezze, con l’interiore certezza di essere oggetto di altrettanti sguardi e supposizioni. 

Che gusto! Allora io propongo che il sabato di Pasqua venga dichiarato ufficialmente “giornata mondiale della noia”: io sarei il primo a festeggiare, liberando la mia anima pigra e indolente, facendomi scorrere addosso senza sensi di colpa i minuti e le ore di una giornata gratuita e senza altro traguardo che il suo compimento. 

Un vero inno alla bellezza intrinseca della vita, che non ha bisogno di molto per essere saporita!

Buona Pasqua a tutti!

Andrea Pozzan Filosofo non praticante