Ho sempre amato il sabato prima della Pasqua.
E’ un giorno apparentemente inutile: tutto è già successo e tutto deve ancora succedere. L’ingresso trionfale a Gerusalemme, tra la folla osannante e gli ulivi ma in groppa ad un asino (e qui bisognava capire che non finiva bene), l’ultima cena, il tradimento, i soldati, le spade, gli orecchi tagliati, gli interrogatori e Gesù che si avvale della facoltà di non rispondere, poi le torture e lo smacco della croce. E infine la morte, i pianti delle donne (che gli uomini non piangono mai), gli unguenti e la pietra fredda del sepolcro.
E’ già successo tutto. E’ già tutto finito, ma noi sappiamo (perché gli evangelisti hanno “spoilerato” da mo’ il finale) che poi accadrà l’impensabile. Domani. E oggi che si fa? Nulla. Si aspetta.
Che meraviglia, che sollievo. Non si fa nulla, manco piangere. Non ci è richiesto niente: il sabato di Pasqua non ci si aspetta che nessuno faccia qualcosa, se non aspettare.
Ma non è un giorno bellissimo questo? E’ come il tempo in cui il vino si ossigena sul decanter o quello che serve alla pasta del pane per lievitare: inutile aver fretta, anzi, dannoso!
Ecco il mio augurio per la Pasqua: tanti momenti di tempo sospeso, gratuito, esentato da ansie di prestazione e disseminato a casaccio nelle nostre giornate, settimane e mesi a venire.
E’ sabato. Non c’è niente da fare, ti puoi finalmente riposare.
